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venerdì 24 aprile 2009

La confessione di Stefano Mele

,








Mattina del 21 agosto 1968

Stefano Mele accusa un malore mentre sta lavorando in un cantiere tra Signa e Prato. Giuseppe B. si offre di accompagnarlo a Lastra a Signa, dove Mele abita in via XXIV Maggio

Nel pomeriggio di quello stesso giorno passeranno a casa del Mele sia Antonio Lo Bianco che successivamente Carmelo C. Il Lo Bianco in serata rifiutera' un invito del cognato Giovanni B. adducendo un improvviso ed inderogabile impegno, in realta' probabilmente si e' gia accordato con la Locci per uscire dopo cena.

Tra le 21:30 e le 22:00 del 21 agosto

Lo Bianco si ferma sotto casa della Locci in via XXIV Maggio. La donna esce portandosi dietro il piccolo Natalino e insieme si avviano verso Signa. Natalino dira' in seguito di aver conosciuto il Lo Bianco solo la sera precedente e che quella fosse la prima volta che uscivano tutti insieme (La Nazione 24 Agosto 1968)

ore 22:00 c.a

Elio Rugi, il direttore del cinema, dira' di aver notato la donna guardare il cartellone del film mentre l'uomo era entrato in un bar forse per acquistare delle sigarette. Poco dopo, verso le 22:15, i due erano presso la cassa per acquistare i biglietti. Rugi afferma di non aver visto il bambino, e che in sala, dopo la coppia, era entrata solo un'altra persona. .


Il film dura 91 minuti, considerando l'intervallo l'uscita dalla sala dovrebbe verificarsi tra le 0:05 e le 0:15

La coppia si avvia immediatamente all'auto dirigendosi verso via di Castelletti ed impiegando verosimilmente non piu' di 5 minuti per raggiungere il Vingone. La loro presenza sulla stradina non dovrebbe andare troppo oltre le 0:20\0:30.

ore 2:00 in punto del 22 Agosto

Natalino Mele suona alla porta del De Felice pigiando il primo campanello alla sua portata(La Nazione 27 Agosto 1968)e all'uomo, affacciatosi prontamente perche' ancora sveglio, direbbe::
"Aprimi la porta perchè ho sonno, ed ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perchè c'è la mi' mamma e lo zio che sono morti in macchina."

Tra le 2:00 e le 2:30 il bambino riferisce al De Felice altri particolari:

"Era buio, tutte le piante si muovevano, non c'era nessuno. Avevo tanta paura. Per farmi coraggio ho detto le preghiere, ho cominciato a cantare la tramontana... La mamma e' morta, e' morto anche lo zio. Il babbo e' a casa malato."

il De Felice continua chiedere:

"dove' la tu mamma, perche' e' morta?"
NM:"e' laggiu' nella macchina con lo zio, vicino al cimitero"
DF:"ma no, vedrai che non e' morta, dormiranno"
NM""no sono morti, davvero... L'ho vista. Alla mamma ho preso la mano, e' propprio morta"
DF:"ma dove sono?"
NM:"laggiu', in mezzo ai campi, nell'auto"


Poco dopo le 3:00 il bambino guida i soccorritori fino alla stradina di via di Castelletti.
Questa capacita' del piccolo di ritrovare la strada ha portato a sostenere che effettivamente il bambino abbia percorso da solo il tratto che separa il Vingone da via di Castelletti. Si deve pero' osservare che i Carabinieri non ripercorrono lo stesso cammino a ritroso del bambino ma, vista l'impraticabilita' della strada , usano le vie carrabili. Sicuramente pero' il bambino indica con precisione il punto da dove sarebbe sbucato sulla via Livornese provenendo dalla sterrata.

Rapporto carabinieri del 21 settembre 68:
"Alle ore 2 del giorno 22 agosto 1968 suona il campanello del muratore de felice francesco, sita in cmpi bisenzio, frazione sant'angelo, via del vingone 54\1. Nonostante l'ora tarda il de felice e' sveglio cosi' pure la di lui moglie, e ha la luce ella sua camera da letto accesa perche' un suo figliolo che si sente poco bene ha chiesto dell'acqua da bere. Il muratore istintivamete, anche perche' non aspetta nessuno, guarda l'orologio e' vede che sono le 2:00 precise. Anziche' aprire la porta come e' suo intento, il muratore si affacia alla finestra e nota che davanti all'uscio vi e' un ragazzino che appena lo scorge gli dice:'Aprimi la porta perche' ho sonno ed ho il babbo malato a letto. Dopo mi accompagni a caa che c'e' la mi mamma e lo zio che sono morti in macchina.' Successivamente, con il bambino che disse di chiamarsi Natalino, e seguendo le sue indicazioni, giungono dopo alcuni giri viziosi al bivio per Comeana, ove, a circa 100 mt sulla destra, in una stradsa interpoderale, con la parte anteriore rivolta verso sant'angelo, e' parcheggiata una giulietta targata Arezzo con la freccia destra in funzione. Il carabiniere scende, si avvicina alla vettura, e nota che effettivamente all'interno ci sono due cadaveri con i vestiti scomposti. Interviene il comando della tenenza dei carabinieri di signa. Si avvisa il comandante, maresciallo maggiore carica speciale Gaetano Ferrero. Si precisa altresi' che il De Felice che quando si e' affacciato alla finestra non ha visto altre persone all'infuori di natalino"

Nelle prime dichiarazioni del bambino ai Carabinieri la versione e' sostanzialmente identica a quella riferita al De Felice. Vedremo che durante i racconti successivi il bambino cambiera' piu' volte versione arrivando a citare anche uno zio, materializzatosi prima come Piero e poi come lo zio Pietro. Quel nome pero' emergera' in realta' in un successivo colloquio col giudice istruttore Spremolla diversi mesi dopo che il piccolo era stato affidato prima allo stesso zio Piero Mucciarini e poi all'istituto per l'infanzia.

Tra le 6:00 e le 7:00

Francesco Vinci verrebbe prelevato dai CC nella sua abitazione mentre aspetta un collega per recarsi sul posto di lavoro , come raccontato dalla moglie, Vitalia Melis, in un intervista alla Nazione del Settembre 1983.

Ore 7:00

I CC prelevano Stefano Mele dalla casa di via XXIV Maggio.

Alle 9:45 la prima verbalizzazione che riguarda Stefano Mele:
"Il Mele afferma che e' rimasto sveglio tutta la notte, in attesa della moglie e del figlio, ma che non e' riuscito a cercarli perche' si sentiva male e che al mattino, alle 7:00, quando i Carabinieri suonano al campanello dell'inquilino del piano di sotto, pur non essendo l'interessato, lui si affaccia ugualmente per vedere chi fosse, perche', dice:'aspettavo che mi portassero la notizia se del caso fosse capitato qualche cosa'"

Dopo il suo ingresso in caserma Stefano Mele, interrogato dal maresciallo Funari, elenca gli amanti della moglie da lui conosciuti, tra cui i tre fratelli Vinci e lo stesso Lo Bianco che nomina con lo pseudonimo di Enrico. Per avvalorare il proprio stato di  malattia citerebbe qundi tal Virgilio che si sarebbe presentato a casa sua quel pomeriggio. In breve si verifichera' l'identiita' del Virgilio per quella di Carmelo C., vecchia conoscena del Mele di cu pero'  lo stesso sembra ignorare il vero nome. Successivamente il Mele comincia ad esternare sospetti sugli amanti della moglie riferendo alcune esternazioni di alcuni di questi che ne proverebbero il sentimento di vendetta, soprattutto di Francesco Vinci

A proposito di Francesco Vinci dice infatti:"C'e' un amante di Barbara che e' molto geloso di lei , che la segue, e che ha minacciato di ucciderla"

In serata Stefano Mele, dopo aver eseguito il test per i residui dello sparo, viene rilasciato e torna a casa con il piccolo Natalino che gia' nel pomeriggio era stato affidato come detto allo zio Mucciarini. Tornera' n caserma la mattina successivaper l'sito delb huanto di paraffina (positivo per una regione di tre millimitri in corrispondenza della piegatura tra pollice ed indice).
A proposito dell'inefficienza dell'esame i periti ebbero a rammentare:
Giova a questo punto evidenziare
A) che la prova e' stata condotta a 16 ore dal fatto
B )che sulle mani dei prevenuti esistono ampie zone callose
C )che i soggetti possono essere venuti in contatto con prodotti contenenti nitrati come polveri esplosive fertilizzanti ed altro


23 Agosto 11:45


Il Mele, tornato in caserma per l'esito del guanto di paraffina in compagnia del cognato Mucciarini, comincia a gettare sospetti anche sul fratello di Francesco, Salvatore Vinci.



A proposito di Salvatore Vinci dice:"E' lui che la minacciava di morte. Anzi, un giorno quando gli chiesi di restituirmi un debito di 300 mila lire sapete cosa mi rispose?-"Tifaccio fori la moglie"-mi disse. -"E siamo pari con il debito"-Proprio cosi' mi disse signori"



Salvatore Vinci viene convocato ma presenta un alibi sostenuto da due persone , Silvano Vargiu e Nicola Antenucci.


18:30 del 23 Agosto
Dopo ore di interrogatorio, senza piu' neppure l'assistenza del cognato, Stefano Mele confessa e viene portato sul luogo per mostrare la dinamica del delitto.

Da subito non sa come arrivare sulla stradina di via di Castelletti.
Verbale dibattimentale tenente Dell'Amico 18\3\70:
"Prima di portarci sul posto giusto, il Mele aveva imboccato altra strada che si diparte dal centro del paese che pero' ci condusse ad una villa privata la cui uscita che si diparte verso la strada del cimitero era preclusa da un cancello chiuso. Tornammo indietro e Mele ci porto' poi sul posto.
Lo sbaglio era facile perche' entrambe le strade partivano dalla piazza". (Da notare che il Mele con due possibilita' sole sceglie proprio la strada sbagliata!)

Secondo la stampa dell'epoca (La Nazione 24 Agosto 1968 ) il Mele avrebbe eseguito la seguente simulazione:
-strisciando carponi lungo il fianco destro si fermo' dietro al cofano, poi avrebbe proseguito sempre carponi fino al finestrino sinistro lato guida. Da qui avrebbe sparato simulando i colpi con la bocca-
Qualcuno gli avrebbe chiesto se ora si sentisse meglio e lui avrebbe risposto "Io sto sempre bene"


Secondo quanto ricostruito dai verbali, mentre simula gli spari mostra una totale inettitudine nel maneggiare l'arma e sbaglia il finestrino da cui sono stati portati i colpi. Riferirebbe pero' correttamente sia il numero di proiettili sparati, (Dai verbali risulta pero' che abbia solo detto di aver svuotato il caricatore NB mentre il numero di colpi presenti nell'arma compare come indicazione de relato del S.Vinci), particolare che sarebbe rilevante perche' fino a quel momento si riteneva che fossero stati sparati solo 6 colpi, sia il particolare della freccia destra lasciata accesa (particolare pero' noto anche al piccolo Natalino con cui il padre certamente parlo' durante la sera precedente). Specificherebbe anche il rivestimento del cadavere della moglie. Da notare anche la data del verbale di sopralluogo che risale addirittura al 25 Agosto 1968, e cioe' due giorni dopo la confessione del mele e 3 giorni dopo l'effettiva data del sopralluogo stesso NB

Sempre sulla stampa dell'epoca si trova scritto che durante la ricostruzione il Mele ebbe a compieree un gesto meccanico come se stesse sollevando qualcosa preso all'interno dell'auto. I Carabinieri avrebbero pensato che inconsciamente stesse ripetendo l'atto di estrarre il figlio dalla giulietta per metterselo in spalla e di conseguenza avrebbero posto la domanda al Mele che pero' avrebbe negato fermamente (La Nazione 27 Agosto 1968).

Alle ore 21:00 viene verbalizzato il nuovo sopralluogo ricostruttivo mentre il Mele viene sottoposto formalmente al fermo

Stralcio del verbale che indica la ricostruzione teste' riportata:
"...fino al posto dove era ferma l'autovettura di Enrico (il Lo Bianco), e giunto a pochi metri mi abbassai e camminando carponi raggiunsi la macchina dal lato sinistro. Preciso che l'auto era ferma con la direzione di marcia opposta all'incrocio. E poiche' il vetro dello sportello posteriore sinistro era abbassato (ma nella simulazione sul posto aveva indicato il sinistro anteriore) , visto che mia moglie era in atteggiamento intimo con Enrico e, preciso, enrico era sdraiato sul sedile anteriore destro che aveva la spalliera abbassata e mia moglie si trovava sopra di lui, presi la mira e feci fuoco esplodendo tutti i colpi che conteneva il caricatore in direzione dei due amanti. I due non dissero neanche una parola... evidentemente morirono sul colpo"


A cavallo tra il 23  e il 24 mattina Mele integra in parte la confessione tornando ad accusare gli amanti della moglie, in particolare Salvatore Vinci. Dichiara che in realta' e' lui ad aver sparato ma sotto l'incitamento di Salvatore Vinci che lo avrebbe accompagnato con la sua auto sul luogo del delitto e gli avrebbe fornito l'arma. Specifica di avere incontrato SV a Signa, in piazza IV Novembre, dove lui era andato a cercare la moglie dopo essere uscito da casa in bicicletta. Il Salvatore Vinci, informato sulla sortita dei due amanti, avrebbe proposto al Mele di assassinarli con un arma in suo possesso. Si sarebbero quindi recati all'uscita del cinema con l'auto del Vinci, e poi li avrebbero seguiti fino alla stradina che costeggia il canale. Il Vinci avrebbe estratto l'arma dal borsello e gliel'avrebbe passata incitandolo ad andare, specificandogli che c'erano 8 colpi e che avrebbe dovuto solo premere il grilletto. Compiuto l'omicidio il Mele sarebbe tornato all'auto dopo aver gettato l'arma nel canale. Sentendosi dire che l'arma era stata gettata via il Vinci avrebbe esclamato "Pazienza!"
Il poccolo Natalino si sarebbe svegliato proprio in questo frangente chiamando a gran voce "babbo", al che lui sarebbe pero' fuggito repentinamente verso l'auto del Vinci che lo attendeva.

A proposito dell'arma Stefano Mele dice:

--agli investigatori che gli mostrano una cal.9 d'ordinanza l'uomo riferisce--:"In relazione a quella che oggi mi avete mostrato, e che ni dite essere una beretta cal.9, preciso che quella del Vinci aveva la canna molto piu' lunga, tanto che penso si tratti di una pistola per tiro a segno. Preciso anche che la pistola era pronta a sparare perche' io non feci altro che tirare il grilletto"-

La descrizione e' congruente con il modello descritto dal perito Zuntini, appare pero' molto strano il riferimento fatto dal Mele ad un arma da 'tiro a segno. Il Mele ha dimostrato di non sapere nulla di armi e quindi questo dettaglio da lui riferito non sembra genuino.

Dal 23 Agosto il bambino viene affidato agli zii paterni Giovanni e Antonietta Mele, nonche' al di lei marito Piero Mucciarini

All'alba del 24 Agosto i Carabinieri si mettono alla ricerca dell'arma nel luogo riferito dal Mele, e contemporaneamente convocano in caserma Salvatore Vinci.
Alle 8:00 Salvatore Vinci arriva con la sua auto alle Murate per sostenere il confronto con Stefano Mele.
Alle 9:30 arrivano il sostituto Caponnetto, il capitano Dell'Amico e il dirigente Scala per effettuare l'accertamento testimoniale.
Alla rilettura del verbale, considerando che l'arma non si trova, il Mele modifica la sua versione:
"C'e' solo un particolre che non corrisponde a verita', quello in cui riferisco il modo in cui mi sono disfatto della pistola. In verita' non gettai l'arma, ma la ridiedi a Salvatore dopo l'omicidio"

Inizia il confronto con Salvatore Vinci, ma dopo poche battute il Mele ritratta e scagiona l'amico. Alle 16:30 Salvatore Vinci esce dall'aula da innocente e rilascia dichiarazioni in tal senso ai giornalisti ivi presenti. Nel frattempo Stefano Mele dichiara che in realta' il suo complice e' stato non Salvatore ma Francesco Vinci, che quella sera lo avrebbe raggiunto a casa verso le 22 per coinvolgerlo nell'omicidio della moglie. Con la lambretta di questo avrebbero raggiunto la stradina di Castelletti , e poi ,con l'arma sempre di Francesco, avrebbe provato a sparare senza pero' riuscirci. Sarebbe stato quindi Francesco a sparare porgendogli l'arma per l'ultimo colpo, cosa che quindi spiegherebbe il guanto di paraffina debolmente positivo.
Alle 17:30 Francesco Vinci entra alle Murate . In serata il Mele si auto accusa di nuovo durante uno scatto di nervi(La Nazione 25 Agosto 1968)


Francesco Vinci risulta negativo al guanto di paraffina gia' dal 23, mentre si accerta che nel racconto del Mele un passaggio e' palesemente falso(*). Mele dice di aver riposto l'arma nel vano porta oggetti del motorino del Vinci, ma questo risultera' impossibile a causa delle dimensioni della pistola. Mele non sa dire che fine abbia fatto l'arma.

(*)Secondo l'investigatore Davide Cannella un teste avrebbe raccontato che il FV avrebbe modificato il vano portaattrezzi, praticandovi un foro, in modo da farvi entrare l'arma

Questo stesso giorno il sostituto Caponnetto interroga Nicola Antenucci per via di alcune incongruenza nella testimonianza sull'alibi di Salvatore Vinci:
"Nicola antonucci verbale 24 agosto 1968: -invitato quindi il teste a riordinare meglio i propri ricordi dichiara:"Io posso dire soltanto che ieri mattina(23 agosto, che io ero convinto fosse giovedi' mattina. ovvero il 22 agosto) un collega di lavoro, un certo saverio, mi informoì che a lastra a signa era stato commesso un omicidio, cosa che io ignoravo non avendo letto i giornali di questa settimana. Questo Saverio mi disse anche che il delitto era stato commesso due notti prima. Quando poi alla sera i carabinieri vennero a prendere salvatore,, ricollegai che la sera dell'omicidio era proprio quella in cui io salvatore e il suo amico silvanoeravamo rimasti assieme fino ad oltre la mezzanotte"


Nel pomeriggio i Carabinieri conducono Natalino Mele sulla stradina del Vingone per effettuare la ricostruzione del percorso che avrebbe fatto il bambino. Dopo aver insistito nella versione data nell'immediatezza dei fatti, il bambino, all'ennesima domanda dei militari, ammette di essere stato accompagnato dal padre fino al ponticello.

26 agosto

Dopo il confronto con Francesco , quando emerge la non disponibilita' da parte del Vinci del suo motorino, poiche' in riparazione, Mele comincia ad accusare Carmelo Cutrona, l'altro amante della moglie di origini siciliane come il Lo Bianco. Anche il confronto con il Cutrona mette in risalto le contraddizioni del racconto del Mele, finche' questo pressato dagli investigatori sbotta:
"Se non e' stato l'uno e' stato l'altro!"


Quando gli viene prospettata la possibilita' di un confronto con il figlio, Stefano Mele conferma in lacrime la versione del riaccompagnamento del piccolo Natalino (La Nazione 26 Agosto 1968), mentre in nottata vengono scarcerati Francesco Vinci e Carmelo Cutrona. Nel prosieguo degli interrogatori non sa spiegare in nessun modo come sia poi tornato a casa da via del Vingone ,ne come abbia raggiunto il luogo prima dell'omicidio.

Il 27 Agosto il pm Caponnetto richiede un esame psichiatrico per il Mele, vista l'incredibile sequenza di ritrattazioni e accuse che ha rivelato una psicologia dell'uomo a dir poco contorta

Tra ritrattazioni e ammissioni, Stefano Mele arrivera' nel 1973 al processo di Perugia dove, dopo 4 sentenze a partire da quella della corte di assise di Firenze del 1970, verra' condannato in via definitiva alla pena di 14 anni.


3 commenti:

Anonimo ha detto...

ore 22:00 c.a

Elio Rugi, il direttore del cinema, dira' di aver notato la donna guardare il cartellone del film mentre l'uomo era entrato in un bar forse per acquistare delle sigarette. Poco dopo, verso le 22:15, i due erano presso la cassa per acquistare i biglietti. Rugi afferma di non aver visto il bambino, e che in sala, dopo la coppia, era entrata solo un'altra persona. Un altra cassiera pero' lo smentirebbe ricordando la presenza del bambino sicuramente all'uscita dal cinema, mentre questo era in braccio alla madre semi addormentato (Storia delle Merende Infami. Nino Filasto').

Non è vero che la cassiera smentirebbe Elio Rugi, infatti lei vede il bambino all'uscita mentre Rugi non lo vede all'entrata. Natalino potrebbe esser stato portato al cinema a film già iniziato dall'uomo che cercava la Locci. Nel caso ovviamente un'altra persona teneva il bambino fuori dal cinema mentre questo signore cercava la Locci. Se così fosse sapremmo due cose :
a) Natalino era con qualcun'altro quella sera.
b) Il custode di Natalino uccise la Locci.

Gianni ha detto...

Il Mele dimostra di essere una persona fragile, bonariamente un "pezzo di pane",
non sembra in grado di pianificare un omicidio, ma forse non ne sente neanche il bisogno, insomma non sembra che la vita sessuale dissoluta della Locci a lui creasse grossi problemi emotivi, più che altro il Mele appare spinto dalle persone intorno a dovere uccidere la moglie.
Allo stesso modo è poco realistico che il Mele custodisse una pistola e la sapesse usare.
Lui è la chiave del mostro di Firenze perchè, ammettendo che fosse stato almeno presente all'omicidio della moglie, è uno dei pochi a sapere che fine ha fatto la pistola, su questo prima ha detto di averla gettata poi, invece, di averla data a Salvatore Vinci, dopo il confronto cambia versione e dice di averla data a Francesco Vinci...
Poichè la pistola non è stata trovata dopo le ricerche effettuate dalle fdo ove il Mele asseriva di averla gettata, è probabile che l'abbia restituita al proprietario, ovvero, a chi quella sera gliela mise in mano, anche per sparare un solo colpo.
Uno dei Vinci era il più probabile possessore della pistola, e visto l'alibi del motorino in riparazione del Francesco Vinci, resta Salvatore che aveva pure l'auto con la quale accompagnare il Mele sul luogo del delitto.
Non conoscendo bene il corso delle indagini, mi chiedo: quanto hanno fatto i magistrati negli anni dei delitti del mostro nel mettere sotto torchio, anche spingendosi al limite delle possibilità legali, Salvatore Vinci e quelli intorno al Mele per farsi dire che fine aveva fatto la pistola?
Questa era l'unica pista concreta che i magistrati avevano per impedire altri delitti del mostro, e su questa penso che avrebbero dovuto insistere ad oltranza fino a che non saltava fuori chi l'aveva.

Unknown ha detto...

Qualcuno saa la data esatta della scarcerazione di mele? Grazie