
Tra le 0:15 e le 00:30 del 22 Agosto
Barbara Locci, 30 anni casalinga, il figlio di lei Natalino Mele di 6 anni, e Antonio Lo bianco, 29 anni, manovale sposato con tre figli, escono dal cinema Michelacci sito nell'omonima piazza di Signa
ore 2:00
Il piccolo Natalino Mele suona alla porta dell'abitazione de Felice. Ai piedi indossa solo i calzini e chiede al padrone di casa di farlo entrare perche' la madre e' morta
ore 3:15 circa del 22 Agosto
Il piantone della caserma di Porto san Pietro, accompagnato dal De Felice e dal vicino di casa Marcello Manetti, e seguendo le indicazioni del bambino, si mette alla ricerca dell'auto con a bordo i cadaveri della coppia. Dopo qualche giro a vuoto i tre rinvengono la Giulietta del Lo Bianco.
ore ? (3:30?)
Arrivano sul posto i CC della tenenza di Signa con il maresciallo Ferrero
ore 5.00 circa del 22 Agosto
Arrivano sul posto il colonnello Dell'Amico e il sostituo procuratore Caponnetto
ore 6:30 del 22 Agosto
Il magistrato chiude il verbale di sopralluogo del PM
In una stradina interpoderale che da' su via di Castelletti, a poco piu' di 1 km dal cimitero di Signa, e a 100 metri dal bivio per Comeana, e' parcheggiata una Giulitta AlfaRomeo 1300 bianca con l'indicatore di segnalazione destro acceso. Lo sportello passeggero posteriore, quasi addossato all'attiguo canneto, e' socchiuso, il finestrino sinistro anteriore leggermente abbassato e quello posteriore abbassato per meta'.

Fig.1
All'interno, seduto quasi compostamente sul sedile di guida che ha lo schienale alzato, c'e' il cadavere di Barbara Locci. Il corpo del Lo Bianco e' invece sdraiato sul sedile passeggero completamente reclinato, con una gamba che rimarrebbe incastrata sotto il corpo della donna (Escussione colonnello Dell'Amico 26 Aprile 1994) Sulla gamba sinistra dell'uomo viene inoltre evidenziato del sangue (sangue che pero' non e' noto se sia dell'uomo o della donna)
Fig.2

La donna e' stata attinta da quattro colpi calibro 22 al dorso. Uno alla spalla sinistra e tre all'emitorace sinistro, lungo una linea che va dalla scapola sinistra fino alla base diaframmatica ad altezza della zona lombare sinistra. Dall'esposizione sul suo referto fatta dallo stesso professor Montaldo nel processo Pacciani:"
Il corpo della signora Locci era stato raggiunto da 4 colpi a proiettile unico.
Sembrerebbero colpi esplosi in rapidissima successione perche' l'area interessata non appare troppo estesa. Colpi con orientamento univoco dal basso verso l'alto e da sinistra verso destra. 1)Colpo penetrato in corrispondenza della spalla sx, faccia posteriore, e tramite con proiettile ritenuto nel cavo articaolare.
2)Altro colpo in corrispondenza dell' emitorace posteriore sn. all'altezza del 6 spazio intercostale. Tramite con uscita in corrispondenza dell'emitorace dx a 6 cm dal margine inferiore della clavicola e a 3 cm dalla medio sternale, che lede l'atrio di sinistra, l' arteria polmonare di sn e il polmone dx Questo e' il colpo mortale e devastante-
3)Altro colpo penetrato in corrispondenza della base dell'emitorace sn. Attraversata la decima costa lede il pancreas e la piccola ala del fegato con tramite leggermente obliquo da basso verso l'altro e da sinistra a destra, fuoriuscito sulla parete anteriore al confine tra tratto toracico e tratto addominale.
4)Quarto colpo entrato sul limite tra regione toracica e regione lombare sn, con lieve obliquita' dal basso verso l'alto e da sn a dx. Il tramite interessa a tutto spessore il corpo della seconda vertebra lombare da cui poi viene probabilmente deviato arrivando a ledere l'antro dello stomaco e la grande ala del fegato. Proiettile ritenuto nel sottocutaneo in corrispondenza dell'ottava costa di destra". I colpi sono stati portati tutti a distanza superiore ai 40cm
Non ci sono ferite da taglio, mentre presenta una sottile abrasione al collo ricondotta allo strappo violento della catenina che in parte giace a terra spezzata (un frammento rimase attaccato alla ferita).
Il referto autoptico sull'uomo fu stilato da diverso medico legale: il dottor Grazioso:
Sembrerebbero colpi esplosi in rapidissima successione perche' l'area interessata non appare troppo estesa. Colpi con orientamento univoco dal basso verso l'alto e da sinistra verso destra. 1)Colpo penetrato in corrispondenza della spalla sx, faccia posteriore, e tramite con proiettile ritenuto nel cavo articaolare.
2)Altro colpo in corrispondenza dell' emitorace posteriore sn. all'altezza del 6 spazio intercostale. Tramite con uscita in corrispondenza dell'emitorace dx a 6 cm dal margine inferiore della clavicola e a 3 cm dalla medio sternale, che lede l'atrio di sinistra, l' arteria polmonare di sn e il polmone dx Questo e' il colpo mortale e devastante-
3)Altro colpo penetrato in corrispondenza della base dell'emitorace sn. Attraversata la decima costa lede il pancreas e la piccola ala del fegato con tramite leggermente obliquo da basso verso l'altro e da sinistra a destra, fuoriuscito sulla parete anteriore al confine tra tratto toracico e tratto addominale.
4)Quarto colpo entrato sul limite tra regione toracica e regione lombare sn, con lieve obliquita' dal basso verso l'alto e da sn a dx. Il tramite interessa a tutto spessore il corpo della seconda vertebra lombare da cui poi viene probabilmente deviato arrivando a ledere l'antro dello stomaco e la grande ala del fegato. Proiettile ritenuto nel sottocutaneo in corrispondenza dell'ottava costa di destra". I colpi sono stati portati tutti a distanza superiore ai 40cm
Non ci sono ferite da taglio, mentre presenta una sottile abrasione al collo ricondotta allo strappo violento della catenina che in parte giace a terra spezzata (un frammento rimase attaccato alla ferita).
Il referto autoptico sull'uomo fu stilato da diverso medico legale: il dottor Grazioso:
"La morte risale circa a 36 ore prima della verifica autoptica effettuata la mattina del 23 agosto, e fu causata da lesioni polmonari e spleniche con conseguente emorragia pleurica e peritoneale da colpi da arma da fuoco a proiettile unico.
I colpi che hanno raggiunto il Lo Bianco sono stati 4. Di questi uno ha interessato l'avambraccio sn mentre gli altri 3 hanno interessato il braccio sn e l'emitorace sn in regione costale, decorrendo con direzione obliqua dall'alto al basso e da sinistra a destra.
Dei due entrati in cavita' toracica uno ha interessato milza e stomaco, mentre l'altro un polmone, entrambi con esito mortale.
I colpi che hanno raggiunto il Lo Bianco sono stati 4. Di questi uno ha interessato l'avambraccio sn mentre gli altri 3 hanno interessato il braccio sn e l'emitorace sn in regione costale, decorrendo con direzione obliqua dall'alto al basso e da sinistra a destra.
Dei due entrati in cavita' toracica uno ha interessato milza e stomaco, mentre l'altro un polmone, entrambi con esito mortale.
Poiche' non si sono riscontrati segni di affumicatura bruciatura o tatuaggio i colpi sono stati sparati a distanza, ovverosia oltre i 40 cm. La morte e' certamente avvenuta in breve tempo per l'interessamento della cavita toracica con lesione alla milza allo stomaco e al polmone sn. Almeno uno dei colpi ha attraversato il braccio attingendo la regione ascellare". Ha i pantaloni slacciati e il piede sinistro e' scalzo (Risulterebbe che la scarpa fosse addossata allo sportello di guida chiuso, tanto che nel verbale di sopralluogo sarebbe stato annotato che questa ruzzolo' all'esterno non appena un carabiniere apri' la portiera. G.Alessandri, La leggenda del Vampa).
Nella ricostruzione svolta dai periti in piu' riprese nel tempo risultera' che il primo ad essere stato colpito fu il Lo Bianco mentre i due amanti forse erano ancora l'una sull'altro. La Locci probabilmente fu colpita mentre si era sollevata e stava cercando di aprire lo sportello. Il corpo della donna sarebbe stato successivamente spostato sul sedile di guida e parzialmente rivestito. Secondo quanto riportato dalla sentenza di primo grado al processo Pacciani: l'assassino ricompone entrambi i cadaveri, in particolare quello della donna, togliendola da sopra al Lo Bianco, tirandole su le mutandine che erano abbassate, e cercando di coprire le gambe con la veste.
Si accertera' inoltre che i colpi raggiunsero la coppia dal lato sinistro anteriore dell'auto, forse dallo sportello aperto, e con poca inclinazione.
Esternamente vengono repertati tre bossoli (Fig.5) winchester calibro 22 LR con l'H stampata sul fondello, altri due verranno rinvenuti successivamente nel vano posteriore dell'auto, tra spalliera e sedile del divanetto, quando questa e' gia' nel parcheggio della caserma.
I due bossoli rinvenuti sul sedile posteriore
Perizia 1987: Bossoli repertati nel 1968
Il perito balistico, Generale I. Zuntini, stabilira' che a sparare e' stata molto probabilmente una beretta long rifle mod 73 o 74 costruita nel 1959, ma non in perfette condizioni come mostra ad esempio il percussore sbeccato e la deformazione dei bossoli dovuta ad una molla di recupero ammorbidita dal tempo (Valutazioni in parte smentite dalle perizie comparative eseguite negli anni '80).
Si accertera' inoltre che i colpi raggiunsero la coppia dal lato sinistro anteriore dell'auto, forse dallo sportello aperto, e con poca inclinazione.
Esternamente vengono repertati tre bossoli (Fig.5) winchester calibro 22 LR con l'H stampata sul fondello, altri due verranno rinvenuti successivamente nel vano posteriore dell'auto, tra spalliera e sedile del divanetto, quando questa e' gia' nel parcheggio della caserma.
I due bossoli rinvenuti sul sedile posteriore
Perizia 1987: Bossoli repertati nel 1968
Il perito balistico, Generale I. Zuntini, stabilira' che a sparare e' stata molto probabilmente una beretta long rifle mod 73 o 74 costruita nel 1959, ma non in perfette condizioni come mostra ad esempio il percussore sbeccato e la deformazione dei bossoli dovuta ad una molla di recupero ammorbidita dal tempo (Valutazioni in parte smentite dalle perizie comparative eseguite negli anni '80).
Tutti i colpi repertati sono a palla ramata e presentano le stesse microstrie indicando che sono stati sparati dalla medesima pistola.

Fig.5
Fig.6

All'interno dell'auto viene rinvenuta, tra il sedile e il montante dello sportello lato passeggero, la borsa aperta della Locci, tanto da far pensare che fosse stata frugata anche se non risulto' vi fosse stato asportato alcunche'. Nell'auto viene inoltre rinvenuto il portapatente del Lo Bianco contenente un "calendarietto da barbiere raffigurante donne discinte" (Stranamente pero' non si parla della patente )

Fig.7

La testimonianza del bambino. Il piccolo Natalino Mele, sollecitato dagli inquirenti, fornira' nel tempo racconti molto diversi l'uno dall'altro. Certo e' che il piccolo deve aver subito il peggior trauma che si possa immaginare, e che quindi le sue dichiarazioni non possono essere prese come fondamenta per costruire alcuna ipotesi realistica dell'accaduto. Del resto la cronologia dei cambi di versione, le parole usate con i primi soccorritori e il ricordo serbato in eta' adulta, possono darci qualche indizio su quello che si puo' essere realmente verificato.
Alle 2:00 del mattino Natalino Mele, al de Felice che si e' affacciato alla finestra, dice:(cit. Rapporto giudiziario del 1968 riportato virgolettato da Filasto in Storia delle Merende Infami)
"Aprimi la porta perchè ho sonno, ed ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perchè c'è la mi' mamma e lo zio che sono morti in macchina."
Il primo elemento comunicativo che fornisce il bambino riguarda il suo stato fisico e non interiore, non piange a dirotto ne mostra segni di panico pur essendo ovviamente impaurito. Il riferimento al sonno implica un cedimento all'iniziale stress emotivo che ha avuto il suo apice quasi due ore prima (l'ora della morte della madre viene fatta risalire alla mezzanotte e mezza). Apparentemente lo sforzo fisico sembra aver preso il sopravvento su quello mentale, forse indicando che effettivamente possa aver fatto quel tragitto di due chilometri a piedi da solo. Per confutare questa eventualita' i Carabinieri faranno notare che non solo il bambino non mostra alcun graffio ma neppure i calzini sembrano in condizioni tali da giustificare il lungo cammino a piedi. Secondo la'vvocato Filasto' invece, citando almeno tre testimonianze dibattimentali del 1970 (data del primo processo al Mele), le condizioni dei calzini del bambino sarebbero state compatibili con un lungo percorso a piedi.
D'altro canto all'epoca gli investigatori nutrirono da subito una certa perplessita' sulla possibilita' che il piccolo avesse percorso il viottolo da solo, e questo per il percorso accidentato fatto al buio in condizioni decisamente disagevoli . Del resto la tranquillita' e sicurezza che il Natalino mostro' successivamente nel riportare sempre, e in modo congruente, lo stesso racconto, fece ritenere fino almeno al 24 Agosto che stesse proprio dicendo la verita'.
Il secondo elemento che viene espresso e' quello del "babbo malato". Sebbene un riferimento all'unica figura familiare su cui puo' contare sia facilmente spiegabile, non sembra chiedere al De Felice di portarlo dal padre ma piuttosto informarlo che il padre e' malato a letto. Qualche dubbio che quelle precise parole gli siano state suggerite in quelle due ore di buco potrebbe sorgere.
Il "babbo malato" potrebbe quindi essere un suggerimento esterno, ma potrebbe anche essere il modo con cui la madre abbia precedentemente cercato di convincere ill bambino del perche' con loro quella sera al cinema ci fosse il Lo Bianco piuttosto che il padre. Una litania che quindi sarebbe rimasta impressa nella mente del piccolo Mele, e riportata automaticamente dopo il fatto, o il preciso intento di qualcuno che con quelle parole voleva suggerire attraverso il bambino sin da subito un alibi per STefano Mele
Nel prosieguo del verbale il De Felice riferisce altre dichiarazioni recepite dal bambino nell'immediatezza del fatto: (cit)
"Era buio, tutte le piante si muovevano, non c'era nessuno. Avevo tanta paura. Per farmi coraggio ho detto le preghiere, ho cominciato a cantare la tramontana... La mamma e' morta, e' morto anche lo zio. Il babbo e' a casa malato."
Il bambino specifichera' anche di aver stretto la mano della madre, e di aver capito proprio in quel momento che fosse morta.
La descrizione lineare, arricchita dal transfert delle proprie emozioni su elementi reali che lo circondano (gli alberi che si muovono) sembra decisamente genuina, e difficilmente in quello stato potrebbe essere riuscito a dissimulare la presenza di altre persone mantenendo tutti quei particolari, compreso il riferimento all'aver stretto la mano della madre morta.
Permane come unico elemento a se stante il riferimento al "babbo malato", che sembra quasi un aggiunta forzata nel racconto, un ritornello.
Il giorno 23 Natalino Mele viene affidato agli zii paterni, che nell'84 il giudice Rotella scoprira' aver fatto notevoli pressioni sia sul padre che sul figlio affinche' la famiglia non venisse coinvolta nella faccenda. Purtroppo non sono riuscito per il momento a ricostruire la cronologia delle dichiarazioni del bambino tra questi primi racconti e quello ultimo che il 24 Agosto mettera' definitivamente Stefano Mele con le spalle al muro. Il 25 Agosto, dopo l'ammissione fatta ai CC durante la ricognizione dei luoghi del giorno prima, e quando ancora Stefano Mele continua ad accusare Francesco Vinci e Carmelo Cutrona, il piccolo Mele dice al magistratoche a portarlo fino alla casa del De Felice e' stato in realta' il padre, e questo era gia' a fianco a lui nel momento in cui si sveglio' dopo gli spari.
Nei successivi colloqui con i CC fatti quando era stato gia affidato da settimane all'istituto per l'infanzia, il bambino avrebbe accennato alla presenza di uno zio Piero, poi identificato in Piero Mucciarini, marito della sorella di Stefano Mele. Quest' allusione sarebbe proprio all'origine delle pressioni fatte nel 1982 dai Mele-Mucciarini sia sul padre che sul bambino, affinche' il nome dello zio Piero rimanesse fuori dalle indagini.
Oramai adulto, Natale Mele dchiarera' di non ricordare nulla se non le stesse cose che gia' aveva riferito in casa del De Felice a poche ore dal verificarsi dell'omicidio.
Un ipotesi. Come abbiamo visto la versione odierna di Natale Mele e' tornata a quella originale, ed apparentemente oggi egli non ha motivo di mentire in modo esplicito. Alcuni, anche atorevolmente, suggeriscono che nel tempo si possa essere verificato un fenomeno di rimozione, e sebbene non possa certamente confutare questa possibilita', registro che in realta' il giovane Mele sembra ricordare piuttosto bene molti particolari di quella sera, diversamente da quanto invece dovrebbe avvenire in caso di una rimozione cosi' radicale.
Potrebbe magari non ricordare un ombra percepita di sfuggita nel momento del risveglio, un ombra a cui forse a breve tempo dal fatto aveva dato il volto proprio di quello zio Pietro sopracitato. Il bambino quindi potrebbe aver associato un elemento della sua quotidianita' a qualcosa di sfuggevole e non decodificabile come un ombra appunto. Di congettura in congettura veniamo ai racconti di Stefano Mele. Nel mare magnum dei verbali dell'uomo, l'unico particolare che sembra rimanere saldo e' quello in cui asserisce di essersi mosso con la sua bicicletta da casa per cercare moglie e figlio che tardavano, salvo poi cambiare versione quando gli viene contestata l'incongruenza dei tempi dicendo che il suo "complice " sarebbe arrivato nella casa di Lastra dopo l'uscita della Locci. Probabilmente questo e' invece l'unico scampolo di verita' di tutte le sue dichiarazioni, cosa che mi porta a pensare che in realta' Stefano Mele quella sera non abbia incontrato nessuno, ma bensi' che si sia messo alla ricerca della moglie trovandola in uno dei tanti luoghi da questa frequentati per le scappatelle di rito.
Il tempo di ritrovamento potrebbe essere stato accelerato, come fu per i Carabinieri, dalla freccia lasciata accesa, che magari proprio l'assassino ha attivato con l'intento di rendere piu' veloce la scoperta dell'auto essendosi reso conto della presenza del bambino.
Il Mele, giunto sul posto, avrebbe gia' da subito sospettato degli ex amanti della moglie, cosa che gli sarebbe stata suggerita anche dall'assenza del figlio probabilmente portato via da qualcuno che era da questo conosciuto. Sarebbe secondo questa ipotesi stato poi il Mele a rivestire la donna per evitare che fosse vista e magari fotografata in quello stato, recandosi subito dopo a casa nella speranza che chi aveva commesso quel macello gli riportasse a breve il figlioletto. Invece il bambino era arrivato da solo fino a Sant'Angelo, ma poiche', secondo quanto ci dice lo Spezi, la casa di fronte a quella del De Felice era abitata da un amico di Salvatore Vinci (NB circostanza vera ma che in realta' riguarderebe un periodo temporale succssivo all' Agosto 68 ), e' possibile che il Mele abbia collegato le due cose e si sia percio' convinto che fosse proprio il Vinci il responsabile. Perche' allora confessare? Non esiste una risposta ineccepibile a questa domanda, ma considerando la personalita' dell'ometto in questione, da una vita succube prima della famiglia, poi dalla Locci, e costantemente deriso dai compaesani, l'aver vestito per un momento (peraltro molto breve) i panni dell'uomo che sa far rispettare il proprio onore anche con il sangue potrebbe averlo spinto ad accettare le pressioni degli inquirenti affinche' confessasse.
Si tratta solo di un ipotesi che cerca di far quadrare le tante anomalie di questa vicenda, un ipotesi che pero' spiegherebbe l'inconsistenza dei tentativi degli anni 80 di dare un nome al mostro seguendo quella che in fin dei conti era l'unica strada ragionevole da battere dopo il collegamento dell'82.