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venerdì 22 maggio 2009

Parte quarta


Il Commiato



Mentre la Procura era intenta nel perseguire i nuovi obiettivi investigativi , il tribunale del riesame , il 12 ottobre 1984, fece scarcerare Giovanni Mele e Piero Mucciarini. La pista sarda non si era pero' estinta ancora del tutto e a finire sotto i riflettori delle indagini dei Carabinieri questa volta fu Salvatore Vinci. Subito dopo l'omicidio del 29 Luglio 1984, l'uomo aveva subìto una perquisizione che aveva portato al rinvenimento di uno strano straccio coperto di macchioline rosse nascosto dentro una borsetta da donna . Lo straccio presentava anche una sbavatura di polvere nera che sembrava essere stata causata dalla pulitura di un arma da fuoco. Il reperto fu peritato nella primavera del 1985. Si appuro' che le macchie fossero di sangue e di due gruppi distinti, 0 e B, mentre la polvere era effettivamente costituita da residui dello sparo. Quel sangue non pote' pero' essere correlato ad alcun delitto in quanto non fu possibile confrontarlo con quello delle vittime dell'83 e precedenti, poiche' di questo non ne era stato conservato alcun campione. Il 12 Giugno 1985 il giudice Rotella ebbe l'ennesimo colloquio con Stefano Mele. Stefano , come aveva gia' fatto per i precedenti sospettati, comincio' ad accusare Salvatore Vinci per il delitto del 68. Il Vinci non venne comunque arrestato, ma si comincio' a tenerlo sotto stretta osservazione continuando a verificare gli aspetti meno chiari del suo possibile coinvolgimento, primo fra tutti l' l'alibi dell'epoca. La Polizia intanto, a Febbraio dell'85, aveva ricevuto alcune indicazioni di sospetto su un altra persona, Giovanni Calamosca, proprio lo stesso nella cui casa era stato arrestatao Francesco Vinci nell' Agosto dell'82. Il signor Rontini aveva infatti raccolto alcune voci che parlavano del possesso da parte del Calamosca di una beretta calibro 22, vista sporca di sangue nelle sue mani da ben tre testimoni oculari. Nel giro di un mese quella pista si dissolse completamente, sebbene i testimoni fossero stati trovati ed avessero confermato la circostanza. Nella perquisizione del febbraio 85 a casa del Calamosca non era stato rinvenuto nulla, e si disse che i tre testimoni avessero piu' di un motivo di risentimento nei confronti del sospettato. (La repubblica 7 Aprile 1985)

Per l'estate del 1985 gli inquirenti credettero dunque di essere pronti a stringere la rete intorno all'assassino nel caso questo fosse tornato a colpire, e si trovarono nella ben poco invidiabile condizione di dover sperare che non venissero commessi altri delitti pur sapendo che quello era l'unico modo per catturarlo. Se i cadaveri fossero stati scoperti abbastanza in fretta c'erano buone possibilita' che le perquisizioni riuscissero a fare emergere delle tracce consistenti, inchiodando finalmente l'uomo che li aveva tenuti in scacco da oltre 15 anni.
L'opportunita' di mettere in atto il piano purtroppo arrivo' il 9 settembre 1985 alle ore 14:00 c.a, quando un cercatore di funghi di San Casciano si imbatte' in due piedi che sbucavano dal fogliame di una piazzola attigua a via degli scopeti, all'altezza del civico 124.
Alle 14:30 una pattuglia dei Carabinieri era gia' sul posto, seguita a ruota da ondate multiple di colleghi provenienti praticamente da ogni altro corpo delle forze dell'ordine, un vero e proprio esercito che da subito blocco' la zona per un raggio di 2 chilometri impedendo per la prima volta l'accesso anche ai giornalisti . L'area della piazzola fu cordonata in modo che la scena fosse disponibile ai soli tecnici della Polizia scientifica, mentre gruppi delle unita' cinofile cercavano di ritrovare il percorso a ritroso che l'assassino poteva aver compiuto durante la fuga.
Nella piazzola, a margine del lato che dava sulla strada, c'erano una tenda ed una golf bianca parcheggiata a brevissima distanza. Dentro alla tenda, sdraiato su un fianco, venne rinvenuto un secondo cadavere: quello di una ragazza che l'assassino aveva martoriato nello stesso modo della volta precedente. I due giovani furono identificati dai rispettivi documenti come Nadine Mauriot , 36 anni, e Jean Michel Kraveichvilj , 25 anni, due turisti francesi che dal Venerdi' precedente si erano accampati in quel luogo, ultima tappa di una vacanza in Italia iniziata tre giorni prima in Liguria.
Le prime dichiarazioni dei magistrati non furono pero' incoraggianti poiche' i corpi erano stati scoperti troppo tardi, tanto che dalla prima ispezione cadaverica non si era riusciti neppure a capire se il delitto fosse stato commesso la domenica o il sabato. Ci si comincio' a domandare se quel nascondere volontariamente i corpi per ritardarne la scoperta non comportasse la conoscenza da parte dell''assassino delle mosse degli inquirenti, ma una risposta molto diversa a quelle domande sembro' arrivare il Martedi' sucessivo alle 10 circa del mattino.
Quella mattina il cancelliere della Procura si ritrovo' tra le mani un inquietante plico sigillato su cui un anonimo emissario aveva composto l'indirizzo ritagliando le lettere da vari settimanali popolari. La busta era stata spedita da San Piero a Sieve prima della tarda mattinata del Lunedi' , quando il servizio postale aveva svuotato le cassette del paese, e con una celerita' inverosimele era giunta fino al destinatario:"Della Monica Silvia-Procura della REPUBLICA". Il plico pero' non era stato aperto dal Magistrato, bensi' dal servizio di smistamento interno i cui addetti videro materializzarsi sotto gli occhi un pezzo di pura follia umana. Nella busta, avvolto in un fazzolettino di carta, fu rinvenuto un sottile lembo del seno di Nadine Mauriot, largo appena 2cm ma piu' che sufficiente per per ottenere l'effetto sperato di gettare nel panico l'intera Procura, per non parlare ovviamente del destinatario finale. La notizia riusci' a rimanere segreta fino al 24 settembre quando il settimanale Epoca decise infine di pubblicarla contrariamente al parere degli inquirenti, e degli stessi consulenti forensi, che consideravano il gesto dell'assassino come un elemento critico di rottura dopo il quale avrebbe potuto finalmente commettere un grave erorre.
La scelta di inviare quel messaggio all'indirizzo dell'unico magistrato donna che si fosse occupato dell'inchiesta apparve subito ovvia, ma qualcuno ipotizzo' che la dottoressa Della Monica avesse potuto diventare un bersaglio del mostro per via delle sue indagini specifiche, o addirittura perche' ci si era trovata faccia a faccia durante uno degli innumerevoli interrogatori con sospettati e testimoni. Certo era che quel magistrato avesse profondamente sollecitato la fantasia del maniaco visto che oramai non si occupava piu' del caso da tempo, almeno dal 1984.
La preda si era quindi trasformata in predatore, e per farlo aveva quasi usato una citazione letteraria recuperata dalla storia pluri citata del serial killer per eccellenza, Jack lo squartatore, che nell'ottobre del 1888 spedi' un messaggio altrettanto macabro a chi gli stava dando la caccia. Nel tempo pero', quel gesto teatrale sembro' diventare l'estremo commiato dalla scena di un attore oramai stanco del suo ruolo, perche' da quel giorno il Mostro di Firenze scomparve definitivamente nel nulla. Prima invero sembro' lasciare dietro di se un ultima traccia quando il 10 settembre, nel parcheggio dell'ospedale dell'Annunziata, fu rinvenuto un proiettile calibro 22 Winchester con l'H stampata sul fondello, una traccia che comunque si rivelo' ben presto l'ennesimo vicolo cieco. Neppure le perquisizioni dei giorni successivi diedero alcun risultato, compresa quella che il 19 settembre subi' un contadino di origini mugellane ma residente a Mercatale, Pietro Pacciani. L'uomo, che assurgera' prepotentemente alle cronache molto tempo dopo, in quell'occasione non desto' grandi sospetti negli investigatori, che in realta' nella sua casa c' erano finiti per via di una lettera anonima che si limitava a generiche accuse di sospetto senza fornire alcun elemento.




Il giudice Rotella penso' comunque di avere ancora una freccia nel suo arco: Salvatore Vinci. Questa volta pero' per incarcerare l'uomo non sarebbero bastate le nuove dichiarazioni del Mele, e neppure quello straccio insanguinato che non si era riusciti a collegare ai delitti. Il Vinci oltretutto non mostrava una personalita' tale da renderlo sospettabile a priori, e la sua fedina penale era immacolata. Nella storia dell'uomo esisteva pero' un episodio non del tutto chiaro, quello del suicidio della giovane moglie avvenuto addirittura nel 1960. Qualche mese dopo la morte dei ragazzi francesi, il giudice istruttore iscrisse nel registro degli indagati il Vinci ed il cognato quali sospettati dell'omicidio di Barbarina Steri, ipotizzando che quel suicidio fosse stato in realta' un omicidio mascherato commesso dai due uomini per questioni d'onore.
Nel frattempo i Carabinieri erano riusciti a smontare l'alibi che Salvatore Vinci aveva esibito nel 68, ottenendo da Silvano Vargiu una ritrattazione completa e l'ammissione di aver solo raccontato cio' che Salvatore gli aveva chiesto di dire. Nel 1986 il Vinci venne arrestato per l'omicidio della moglie. Dopo quasi due anni di carcere, il processo, tenutosi a Cagliari, si concluse con una piena assoluzione. In breve segui' anche la chiusura definitiva delle indagini sull'omicidio del 68 per l'impraticabilita' dell'accusa. Nell ' ottobre del 1989 il giudice Rotella si arrese definitivamente e su richiesta della Procura di Firenze promulgo' una sentenza di proscioglimento dalle indagini di tutte le persone coinvolte fino a quel momento nella vicenda del mostro di Firenze.

Parte terza