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domenica 29 marzo 2009

Scena del crimine 21 Agosto 1968



Tra le 0:15 e le 00:30 del 22 Agosto

Barbara Locci, 30 anni casalinga, il figlio di lei Natalino Mele di 6 anni, e Antonio Lo bianco, 29 anni, manovale sposato con tre figli, escono dal cinema Michelacci sito nell'omonima piazza di Signa

ore 2:00

Il piccolo Natalino Mele suona alla porta dell'abitazione de Felice. Ai piedi indossa solo i calzini e chiede al padrone di casa di farlo entrare perche' la madre e' morta

ore 3:15 circa del 22 Agosto

Il piantone della caserma di Porto san Pietro, accompagnato dal De Felice e dal vicino di casa Marcello Manetti, e seguendo le indicazioni del bambino, si mette alla ricerca dell'auto con a bordo i cadaveri della coppia. Dopo qualche giro a vuoto i tre rinvengono  la Giulietta del Lo Bianco.

ore ? (3:30?)

Arrivano sul posto i CC della tenenza di Signa
con il maresciallo Ferrero

ore 5.00 circa del 22 Agosto

Arrivano sul posto il colonnello Dell'Amico e il sostituo procuratore Caponnetto

ore 6:30 del 22 Agosto

Il magistrato chiude il verbale di sopralluogo del PM



In una stradina interpoderale che da' su via di Castelletti, a poco piu' di 1 km dal cimitero di Signa, e a 100 metri dal bivio per Comeana, e' parcheggiata una Giulitta AlfaRomeo 1300 bianca con l'indicatore di segnalazione destro acceso. Lo sportello passeggero posteriore, quasi addossato all'attiguo canneto, e' socchiuso, il finestrino sinistro anteriore leggermente abbassato e quello posteriore abbassato per meta'.


Fig.1

All'interno, seduto quasi compostamente sul sedile di guida che ha lo schienale alzato, c'e' il cadavere di Barbara Locci. Il corpo del Lo Bianco e' invece sdraiato sul sedile passeggero completamente reclinato, con una gamba che rimarrebbe incastrata sotto il corpo della donna (Escussione colonnello Dell'Amico 26 Aprile 1994) Sulla gamba sinistra dell'uomo viene inoltre evidenziato del sangue (sangue che pero' non e' noto se sia dell'uomo o della donna)



Fig.2









La donna e' stata attinta da quattro colpi calibro 22 al dorso. Uno alla spalla sinistra e tre all'emitorace sinistro, lungo una linea che va dalla scapola sinistra fino alla base diaframmatica ad altezza della zona lombare sinistra. Dall'esposizione sul suo referto fatta dallo stesso professor Montaldo nel processo Pacciani:"
Il corpo della signora Locci era stato raggiunto da 4 colpi a proiettile unico.
Sembrerebbero colpi esplosi in rapidissima successione perche' l'area interessata non appare troppo estesa. Colpi con orientamento univoco dal basso verso l'alto e da sinistra verso destra. 1)Colpo penetrato in corrispondenza della spalla sx, faccia posteriore, e tramite con proiettile ritenuto nel cavo articaolare.
2)Altro colpo in corrispondenza dell' emitorace posteriore sn. all'altezza del 6 spazio intercostale. Tramite con uscita in corrispondenza dell'emitorace dx a 6 cm dal margine inferiore della clavicola e a 3 cm dalla medio sternale, che lede l'atrio di sinistra, l' arteria polmonare di sn e il polmone dx Questo e' il colpo mortale e devastante-
3)Altro colpo penetrato in corrispondenza della base dell'emitorace sn. Attraversata la decima costa lede il pancreas e la piccola ala del fegato con tramite leggermente obliquo da basso verso l'altro e da sinistra a destra, fuoriuscito sulla parete anteriore al confine tra tratto toracico e tratto addominale.

4)Quarto colpo entrato sul limite tra regione toracica e regione lombare sn, con lieve obliquita' dal basso verso l'alto e da sn a dx. Il tramite interessa a tutto spessore il corpo della seconda vertebra lombare da cui poi viene probabilmente deviato arrivando a ledere l'antro dello stomaco e la grande ala del fegato. Proiettile ritenuto nel sottocutaneo in corrispondenza dell'ottava costa di destra". I colpi sono stati portati tutti a distanza superiore ai 40cm

Non ci sono ferite da taglio, mentre presenta una sottile abrasione al collo ricondotta allo strappo violento della catenina che in parte giace a terra spezzata (un frammento rimase attaccato alla ferita).
Il referto autoptico sull'uomo fu stilato da diverso medico legale: il dottor Grazioso:

"La morte risale circa a 36 ore prima della verifica autoptica effettuata la mattina del 23 agosto, e fu causata da lesioni polmonari e spleniche con conseguente emorragia pleurica e peritoneale da colpi da arma da fuoco a proiettile unico.
I colpi che hanno raggiunto il Lo Bianco sono stati 4. Di questi uno ha interessato l'avambraccio sn mentre gli altri 3 hanno interessato il braccio sn e l'emitorace sn in regione costale, decorrendo con direzione obliqua dall'alto al basso e da sinistra a destra.
Dei due entrati in cavita' toracica uno ha interessato milza e stomaco, mentre l'altro un polmone, entrambi con esito mortale.

Poiche' non si sono riscontrati segni di affumicatura bruciatura o tatuaggio i colpi sono stati sparati a distanza, ovverosia oltre i 40 cm. La morte e' certamente avvenuta in breve tempo per l'interessamento della cavita toracica con lesione alla milza allo stomaco e al polmone sn. Almeno uno dei colpi ha attraversato il braccio attingendo la regione ascellare". Ha i pantaloni slacciati e il piede sinistro e' scalzo (Risulterebbe che la scarpa fosse addossata allo sportello di guida chiuso, tanto che nel verbale di sopralluogo sarebbe stato annotato che questa ruzzolo' all'esterno non appena un carabiniere apri' la portiera. G.Alessandri, La leggenda del Vampa).









Nella ricostruzione svolta dai periti in piu' riprese nel tempo risultera' che il primo ad essere stato colpito fu il Lo Bianco mentre i due amanti forse erano ancora l'una sull'altro. La Locci probabilmente fu colpita mentre si era sollevata e stava cercando di aprire lo sportello. Il corpo della donna sarebbe stato successivamente spostato sul sedile di guida e parzialmente rivestito. Secondo quanto riportato dalla sentenza di primo grado al processo Pacciani: l'assassino ricompone entrambi i cadaveri, in particolare quello della donna, togliendola da sopra al Lo Bianco, tirandole su le mutandine che erano abbassate, e cercando di coprire le gambe con la veste.
Si accertera' inoltre che i colpi raggiunsero la coppia dal lato sinistro anteriore dell'auto, forse dallo sportello aperto, e con poca inclinazione.

Esternamente vengono repertati tre bossoli (Fig.5) winchester calibro 22 LR con l'H stampata sul fondello, altri due verranno rinvenuti successivamente nel vano posteriore dell'auto, tra spalliera e sedile del divanetto, quando questa e' gia' nel parcheggio della caserma.

                                               I due bossoli rinvenuti sul sedile posteriore

                                                   Perizia 1987: Bossoli repertati nel 1968

 Il perito balistico, Generale I. Zuntini, stabilira' che a sparare e' stata molto probabilmente una beretta long rifle mod 73 o 74 costruita nel 1959, ma non in perfette condizioni come mostra ad esempio il percussore sbeccato e la  deformazione dei bossoli dovuta ad una molla di recupero ammorbidita dal tempo (Valutazioni in parte smentite dalle perizie comparative eseguite negli anni '80).
Tutti i colpi repertati sono a palla ramata e presentano le stesse microstrie indicando che sono stati sparati dalla medesima pistola.




Fig.5







Fig.6




All'interno dell'auto viene rinvenuta, tra il sedile e il montante dello sportello lato passeggero, la borsa aperta  della Locci, tanto da far pensare che fosse stata frugata anche se non risulto' vi fosse stato asportato alcunche'. Nell'auto viene inoltre rinvenuto il portapatente del Lo Bianco contenente  un "calendarietto da barbiere raffigurante donne discinte" (Stranamente pero' non si parla della patente )




Fig.7




La testimonianza del bambino. Il piccolo Natalino Mele, sollecitato dagli inquirenti, fornira' nel tempo racconti molto diversi l'uno dall'altro. Certo e' che il piccolo deve aver subito il peggior trauma che si possa immaginare, e che quindi le sue dichiarazioni non possono essere prese come fondamenta per costruire alcuna ipotesi realistica dell'accaduto. Del resto la cronologia dei cambi di versione, le parole usate con i primi soccorritori e il ricordo serbato in eta' adulta, possono darci qualche indizio su quello che si puo' essere realmente verificato.
Alle 2:00 del mattino Natalino Mele, al de Felice che si e' affacciato alla finestra, dice:(cit. Rapporto giudiziario del 1968 riportato virgolettato da Filasto in Storia delle Merende Infami)

"Aprimi la porta perchè ho sonno, ed ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perchè c'è la mi' mamma e lo zio che sono morti in macchina."

Il primo elemento comunicativo che fornisce il bambino riguarda il suo stato fisico e non interiore, non piange  a dirotto ne  mostra segni di panico pur essendo ovviamente impaurito. Il riferimento al sonno implica un cedimento all'iniziale stress emotivo che ha avuto il suo apice quasi due ore prima (l'ora della morte della madre viene fatta risalire alla mezzanotte e mezza). Apparentemente lo sforzo fisico sembra aver preso il sopravvento su quello mentale, forse indicando che effettivamente possa aver fatto quel tragitto di due chilometri a piedi da solo. Per confutare questa eventualita' i Carabinieri faranno notare che non solo il bambino non mostra alcun graffio ma neppure i calzini sembrano in condizioni tali da giustificare il lungo cammino a piedi. Secondo la'vvocato Filasto' invece, citando almeno tre testimonianze dibattimentali del 1970 (data del primo processo al Mele), le condizioni dei calzini del bambino sarebbero state compatibili con un lungo percorso a piedi.
D'altro canto all'epoca gli investigatori nutrirono da subito una certa perplessita' sulla possibilita' che il piccolo avesse percorso il viottolo da solo, e questo per il percorso accidentato fatto al buio in condizioni decisamente disagevoli . Del resto la tranquillita' e sicurezza che il Natalino mostro' successivamente nel riportare sempre, e in modo congruente, lo stesso racconto, fece ritenere fino almeno al 24 Agosto che stesse proprio dicendo la verita'.

Il secondo elemento che viene espresso e' quello del "babbo malato". Sebbene un riferimento all'unica figura familiare su cui puo' contare sia facilmente spiegabile, non sembra chiedere al De Felice di portarlo dal padre ma piuttosto informarlo che il padre e' malato a letto. Qualche dubbio che quelle precise parole gli siano state suggerite in quelle due ore di buco potrebbe sorgere.
Il "babbo malato" potrebbe quindi essere un suggerimento esterno, ma potrebbe anche essere il modo con cui la madre abbia precedentemente cercato di convincere ill bambino del perche' con loro quella sera al cinema ci fosse il Lo Bianco piuttosto che il padre. Una litania che quindi sarebbe rimasta impressa nella mente del piccolo Mele, e riportata automaticamente dopo il fatto, o il preciso intento di qualcuno che con quelle parole voleva suggerire attraverso il bambino sin da subito un alibi per STefano Mele

Nel prosieguo del verbale il De Felice riferisce altre dichiarazioni recepite dal bambino nell'immediatezza del fatto: (cit)

"Era buio, tutte le piante si muovevano, non c'era nessuno. Avevo tanta paura. Per farmi coraggio ho detto le preghiere, ho cominciato a cantare la tramontana... La mamma e' morta, e' morto anche lo zio. Il babbo e' a casa malato."

Il bambino specifichera' anche di aver stretto la mano della madre, e di aver capito proprio in quel momento che fosse morta.
La descrizione lineare, arricchita dal transfert delle proprie emozioni su elementi reali che lo circondano (gli alberi che si muovono) sembra decisamente genuina, e difficilmente in quello stato potrebbe essere riuscito a dissimulare la presenza di altre persone mantenendo tutti quei particolari, compreso il riferimento all'aver stretto la mano della madre morta.
Permane come unico elemento a se stante il riferimento al "babbo malato", che sembra quasi un aggiunta forzata nel racconto, un ritornello.

Il giorno 23 Natalino Mele viene affidato agli zii paterni, che nell'84 il giudice Rotella scoprira' aver fatto notevoli pressioni sia sul padre che sul figlio affinche' la famiglia non venisse coinvolta nella faccenda. Purtroppo non sono riuscito per il momento a ricostruire la cronologia delle dichiarazioni del bambino tra questi primi racconti e quello ultimo che il 24 Agosto mettera' definitivamente Stefano Mele con le spalle al muro. Il 25 Agosto, dopo l'ammissione fatta ai CC durante la ricognizione dei luoghi del giorno prima, e quando ancora Stefano Mele continua ad accusare Francesco Vinci e Carmelo Cutrona, il piccolo Mele dice al magistratoche a portarlo fino alla casa del De Felice e' stato in realta' il padre, e questo era gia' a fianco a lui nel momento in cui si sveglio' dopo gli spari.

Nei successivi colloqui con i CC fatti quando era stato gia affidato da settimane all'istituto per l'infanzia, il bambino avrebbe accennato alla presenza di uno zio Piero, poi identificato in Piero Mucciarini, marito della sorella di Stefano Mele. Quest' allusione sarebbe proprio all'origine delle pressioni fatte nel 1982 dai Mele-Mucciarini sia sul padre che sul bambino, affinche' il nome dello zio Piero rimanesse fuori dalle indagini.

Oramai adulto, Natale Mele dchiarera' di non ricordare nulla se non le stesse cose che gia' aveva riferito in casa del De Felice a poche ore dal verificarsi dell'omicidio.

Un ipotesi. Come abbiamo visto la versione odierna di Natale Mele e' tornata a quella originale, ed apparentemente oggi egli non ha motivo di mentire in modo esplicito. Alcuni, anche atorevolmente, suggeriscono che nel tempo si possa essere verificato un fenomeno di rimozione, e sebbene non possa certamente confutare questa possibilita', registro che in realta' il giovane Mele sembra ricordare piuttosto bene molti particolari di quella sera, diversamente da quanto invece dovrebbe avvenire in caso di una rimozione cosi' radicale.
Potrebbe magari non ricordare un ombra percepita di sfuggita nel momento del risveglio, un ombra a cui forse a breve tempo dal fatto aveva dato il volto proprio di quello zio Pietro sopracitato. Il bambino quindi potrebbe aver associato un elemento della sua quotidianita' a qualcosa di sfuggevole e non decodificabile come un ombra appunto. Di congettura in congettura veniamo ai racconti di Stefano Mele. Nel mare magnum dei verbali dell'uomo, l'unico particolare che sembra rimanere saldo e' quello in cui asserisce di essersi mosso con la sua bicicletta da casa per cercare moglie e figlio che tardavano, salvo poi cambiare versione quando gli viene contestata l'incongruenza dei tempi dicendo che il suo "complice " sarebbe arrivato nella casa di Lastra dopo l'uscita della Locci. Probabilmente questo e' invece l'unico scampolo di verita' di tutte le sue dichiarazioni, cosa che mi porta a pensare che in realta' Stefano Mele quella sera non abbia incontrato nessuno, ma bensi' che si sia messo alla ricerca della moglie trovandola in uno dei tanti luoghi da questa frequentati per le scappatelle di rito.
Il tempo di ritrovamento potrebbe essere stato accelerato, come fu per i Carabinieri, dalla freccia lasciata accesa, che magari proprio l'assassino ha attivato con l'intento di rendere piu' veloce la scoperta dell'auto essendosi reso conto della presenza del bambino.
Il Mele, giunto sul posto, avrebbe gia' da subito sospettato degli ex amanti della moglie, cosa che gli sarebbe stata suggerita anche dall'assenza del figlio probabilmente portato via da qualcuno che era da questo conosciuto. Sarebbe secondo questa ipotesi stato poi il Mele a rivestire la donna per evitare che fosse vista e magari fotografata in quello stato, recandosi subito dopo a casa nella speranza che chi aveva commesso quel macello gli riportasse a breve il figlioletto. Invece il bambino era arrivato da solo fino a Sant'Angelo, ma poiche', secondo quanto ci dice lo Spezi, la casa di fronte a quella del De Felice era abitata da un amico di Salvatore Vinci (NB circostanza vera ma che in realta' riguarderebe un periodo temporale succssivo all' Agosto 68 ), e' possibile che il Mele abbia collegato le due cose  e si sia percio' convinto che fosse proprio il Vinci il responsabile. Perche' allora confessare? Non esiste una risposta ineccepibile a questa domanda, ma considerando la personalita' dell'ometto in questione, da una vita succube prima della famiglia, poi dalla Locci, e costantemente deriso dai compaesani, l'aver vestito per un momento (peraltro molto breve) i panni dell'uomo che sa far rispettare il proprio onore anche con il sangue potrebbe averlo spinto ad accettare le pressioni degli inquirenti affinche' confessasse.

Si tratta solo di un ipotesi che cerca di far quadrare le tante anomalie di questa vicenda, un ipotesi che pero' spiegherebbe l'inconsistenza dei tentativi degli anni 80 di dare un nome al mostro seguendo quella che in fin dei conti era l'unica strada ragionevole da battere dopo il collegamento dell'82.

sabato 28 marzo 2009

Parte seconda



-La pista sarda-



Erano circa le 24:00 di Mercoledi' 21 agosto 1968, e mentre l'armata rossa invadeva la Cecoslovacchia mettendo fine alla primavera di Praga, una coppia usciva dal cinema Michelacci di Signa dopo aver assistito alla proiezione serale del film "nuda per un pugno d'eroi", una pellicola giapponese in cui si narravano le peripezie di un infermiera costretta a barcamenarsi tra stupri e sofferenze in un ospedale da campo durante la guerra.
.
La coppia e il bambino montarono su una giulietta bianca parcheggiata li vicino, incamminandosi lungo la strada per Lastra a Signa dove la donna abitava e dove avrebbe dovuto ritornare a breve. Poi, approfittando del fatto che il bambino si era addormentato sul sedile posteriore, decisero di cambiare strada imboccando via di Castelletti, per fermarsi infine in una stradina di campagna a un chilometro dal cimitero di Signa e poco oltre il bivio per Comeana.
Mentre i due amanti erano gia' l'una sull'altro, forse sdraiati sul sedile passeggero reclinato, qualcuno sbuco' da dietro l'attiguo canneto impugnando una beretta calibro 22 ed apri' il fuoco sulla coppia dallo sportello anteriore sinistro. Il primo ad essere colpito fu' l'uomo, che ricevette 4 proiettili al braccio e all'emitorace sinistro morendo sul colpo. La donna tento' forse di aprire lo sportello destro, ma venne colpita anch'essa da altri 4 proiettili e si accascio' ormai morta sul compagno .
Alle 2:00 del mattino, in una casa su via del Vingone sita a poco meno di 2km da dove era parcheggiata la giulietta, qualcuno suono' il campanello del signor De Felice. Costui si affaccio' immediatamente dato che era ancora sveglio a causa del figlio piu' piccolo che non riusciva a prendere sonno, e fuori, davanti alla porta, vide che c'era solo un bambino scalzo che gli chiedeva di farlo entrare. Disse il bambino: "Aprimi la porta perchè ho sonno, ed ho il babbo ammalato . Dopo mi accompagni a casa perchè c'è la mi' mamma e lo zio che sono morti in macchina."

Superato lo shock iniziale che una tale scena surreale gli aveva procurato, l'uomo fece entrare il piccolo prestandogli i primi soccorsi e chiedendogli cosa fosse successo. Il bambino riferi' stentatamente qualcosa a proposito dell'essersi svegliato all'improvviso e di aver stretto la mano della madre capendo che era morta, di essere poi uscito piangendo dal finestrino posteriore rimasto aperto e di aver vagato sulla strada guidato fin li' dalla luce accesa nella camera del figlio del De Felice.

Mezz'ora dopo, insieme al bambino che diceva di chiamarsi Natalino, i Carabinieri cominciarono a cercare il luogo dove era parcheggiata l'auto, trovandola dopo pochi chilometri di strada e qualche giro a vuoto. La giulietta del resto era ben visibile a distanza nonostante il buio della campagna perche' la freccia destra era rimasta stranamente accesa. Effettivamente sull'auto c'erano i cadaveri di due persone, identificati in breve come Barbara Locci, 29 anni casalinga, ed Antonio Lo Bianco, 28 anni manovale. Il bambino, Natalino Mele, era il figlio della donna che evidentemente quella sera non era uscita con il marito...
Alle 7:00 del 22 Agosto i Carabinieri si presentarono a casa di Stefano Mele gia' sospettando che quell'omicidio fosse potuto scaturire dal piu' classico dei motivi passionali... il tradimento.

Al primo colpo di campanello il Mele, gia' vestito di tutto punto e con le mani sporche di grasso, si affaccio' dalla finestra quasi di scatto, e aperta la porta mostro' subito molta apprensione giustificandola con il mancato ritorno della mofgli e del figlio di cui non sapeva piu' nulla dalla sera prima.
Riportato in caserma il giorno successivo, dopo 10 ore di interrogatorio, il Mele confessera' il duplice omicidio... ma chi erano Stefano Mele e Barbara Locci? E quella confessione quanto si dimostro' affidabile nel tempo?

Stefano Mele sul finire degli anni 50 si era trasferito a Scandicci al seguito della famiglia guidata dal patriarca Palmerio, emigrati dal paesino sardo di Fondorgianus in cerca di condizioni di vita migliori. In Sardegna Stefano aveva conosciuto la miseria nonostante il lavoro di pastore, una condizione che solo in parte aveva migliorato con l'arrivo in Toscana dove si era messo a fare il manovale edile. Si trattava di un ometto debole psicologicamente e non troppo saldo sulle gambe, ma in fin dei conti un lavoratore che riusciva a portare a casa la pagnotta e soprattutto uno facile da tenere a bada. Ed e' cosi' che si era sposato con una ragazza sua conterranea, emigrata dalla Saqrdegna in val di Pesa nello stesso periodo, Barbara Locci, molto piu' giovane di lui ed anche molto piu' scaltra.
Qui la donna comincio' in piena liberta' a frequentare altre persone della comunita' sarda e non solo, fin quando non venne in contatto con un altro emigrante del suo paese, Salvatore Vinci, giunto a Signa nel 1960 con il figlioletto Antonio dopo che la sua giovane moglie si era suicidata con il gas. Piu' che per motivi economici Salvatore pare fosse dovuto emigrare per le conseguenze di una presunta relazione extraconiugale della giovane moglie che era poi sfociata in un misterioso suicidio della ragazza. Si sa' che in questi casi e' buona cosa non sfidare la sorte e il codice non scritto di quella terra, cosi' l'uomo penso' bene di cambiare aria e raggiungere il continente. Salvatore, che si era messo a fare il manovale pure lui, quando incontro' Barbara trovo' finalmente la donna che poteva soddisfare pienamente la sue attitudini, anche quelle in tema di sesso che l'uomo perseguiva con comportamenti complessi non disdegnando i rapporti di gruppo, o almeno cosi' dira' una sua futura compagna durante una testimonianza degli anni '80.
Ma la particolarita' piu' curiosa di quel sodalizio era il ruolo svolto dal Mele che non solo non dimostrava alcuna gelosia, ma addirittura, secondo quanto lui stesso riferira' nel 1985, partecipava ai giochi erotici dei due amanti, tanto che fu lui stesso a proporre a Salvatore di venire a vivere sotto lo stesso tetto (cit. Dolci Colline di Sangue. M.Spezi). Per la donna quella situazione a tre era diventata intollerabile e presto taglio' i ponti con l'amante trovando prima un sostituto in un tal Cutrona, un outsider di origini siciliane, poi addirittura nel fratello di Salvatore, Francesco Vinci. Con Francesco, che all'epoca aveva appena 24 anni ma che gia' era sposato con prole, alla donna piaceva farsi vedere tra i tavoli del locale bar dei sardi di Prato, frequentato gia' dal 66 da personaggi del calibro di Mario Sale e Giovanni Farina. Francesco, che con l'anonima sequestri non verra' mai dimostrato vi avesse avuto a che fare, era infatti attratto da quell'ambiente, e ben presto comincio' a percorrere una strada parallela fatta piu' che altro di furti e rapine. Il rapporto ando' avanti a singhiozzo fino all'estate del '68, quando la donna comincio' a frequentare un altro giovane di origini siciliane, Antonio Lo Bianco, lo stesso giovane con cui trovo' la morte la sera del 21 agosto appena poche settimane dopo il loro primo incontro.

Durante l'estenuante interrogatorio del 23 Agosto, il Mele, che inizialmente si proclamo' innocente confermando i sospetti degli inquirenti sui vari amanti della moglie, arrivo' alla confessione accennando a particolari che apparentemente solo chi fosse stato presente sulla scena del crimine poteva conoscere. In particolare riferi' della freccia lasciata accesa, della scarpa che il Lo Bianco aveva persa durante la sparatoria e il fatto che la donna fosse stata in parte rivestita dopo essere stata uccisa. Quei particolari , non ultimo il numero di colpi sparati, rappresentavano per gli inquirenti la certificazione necessaria a sostenere senza ombra di dubbio la responsabilita' dell'uomo indipendentemente dal modo con cui si era arrivati all'ammissione di colpa.
Stefano fu caricato su di un auto dei Carabinieri in modo da effettuare la ricostruzione di come avesse eseguito l'omicidio, ma proprio da questo momento comincio' un iter sconcertante fatto di imprecisioni, ritrattazioni e accuse che caratterizzeranno tutte le vicende successive. Da subito non fu in grado di condurre gli investigatori sul luogo, tanto che esasperati ce lo dovettero portare loro dopo aver vagato a vuoto seguendo le sue confuse indicazioni. Giunti finalmente nella stradina di Castelletti, dove era stata parcheggiata una giulietta simile a quella del Lo Bianco, gli misero in mano un arma perche' mostrasse in che modo aveva sparato. Se l'arma fosse stata carica il Mele si sarebbe sicuramente sparato su un piede. Per fortuna non lo era e dopo una scenetta quasi comica comincio' a puntare la canna dal finestrino posteriore sinistro simulando i colpi verso la coppia. La mancanza di una perizia comparativa (o meglio il non aver valutato quella ricostruttiva del perito Zuntini) allora non permise, come fu fatto successivamente, di smentire quella dinamica dove i colpi erroneamente venivano portati dal finestrino posteriore e non dallo sportello anteriore aperto, cosi' per qualche ora ancora gli inquirenti sperarono di aver risolto il caso senza troppi intoppi.
I dubbi pero' cominciarono ad emergere con forza subito dopo, quando gli si chiese dove avesse trovato l'arma e soprattutto dove l'avesse nascosta dopo il fatto. E' a questo punto che l'uomo, di fronte ai poliziotti esterrefatti, ritratto' in parte la confessione puntando il dito contro Salvatore Vinci, l'ex amante della Locci. Disse che in realta' quella sera lui era uscito da casa in bicicletta e giunto nella piazza di Signa aveva incontrato Salvatore al quale aveva riferito la situazione. Questo per tutta risposta gli aveva proposto di farla finita con la moglie e che quella era l'occasione giusta per sbarazzarsene. Disse di avere con se una piccola pistola e che avrebbero raggiunto gli amanti con la sua fiat 600 per poi assassinarli. Il Mele avrebbe quindi accettato recandosi con il Vinci presso il cinema da dove avrebbero successivamente pedinato gli amanti fino al Vingone. L'arma pertanto l'aveva fornita il complice e lui, dopo aver sparato, l'aveva gettata sulle sponde del torrente. Cosicche' il 24 mattina un piccolo esercito di poliziotti, armati di tanta pazienza, si mise a dragare i fanghi del fiume in maniche di camicia, mentre Salvatore Vinci veniva convocato in caserma per dare spiegazioni e per sostenere un eventuale confronto con il Mele.
Salvatore Vinci davanti ai giudici respinse ogni accusa, fornendo un alibi inattaccabile presentato da ben due testimoni, Nicola Antonucci e Silvano Vargiu, che la sera dell'omicidio dichiararono di essere stati con lui in un bar di Prato e di essere poi tornati tutti assieme a Briglia intorno alla mezzanotte e mezza. Nonostante l'alibi fosse confermato e che della pistola tra i fanghi del Vingone non ci fosse traccia, si decise comunque di eseguire il confronto al quale assistettero tutti gli inquirenti, compreso l'allora tenete Dell'Amico e il giovanne sostituto Caponnetto. Ci volle solo qualche occhiata del Vinci perche' Stefano Mele ritrattasse tutte le accuse buttandosi ai piedi dell'"amico" per chiedere perdono, ma Salvatore non fece in tempo ad uscire dall'aula che l'ometto, recuperate rapidamente le forze, aveva gia' coinvolto un altra persona, Francesco Vinci. Tenendo immutato il racconto precedente, si limito' a cambiare il nome del complice aggiungendo qualche particolare, tra cui l'uso del motorino di Francesco per raggiungere le vittime e che questo, dopo aver sparato , perche' lui non ne era stato capace, aveva riposto la pistola nel porta oggetti della lambretta. Furono pero' proprio quei particolari a sgretolare nuovamente la soluzione del caso tra le mani dei magistrati, sia perche' si appuro' che quell'arma in quel vano non ci sarebbe mai potuta entrare, sia perche' fu' accertato che in quei giorni il motorino di Francesco Vinci era in riparazione in un officina.
Nel bailamme di quei giorni, parallelamente agli interrogatori del Mele, si era cercato di "sollecitare" la memoria del piccolo Natalino che dal giorno successivo il delitto era stato affidato alla cura degli zii paterni. Il bambino, traumatizzato all'inverosimile da quello che gli era successo, aveva inizialmente detto di non aver visto nessuno, poi, il 24 Agosto, esortato nuovamente dai CC a dire la verita' racconto' che alla casa del De Felice lui non c'era arrivato da solo ma a cavalcioni del padre. Intorno al 26 Agosto Stefano Mele si arrese dichiarando di essere l'unico esecutore dell'omicidio e scagionando definitivamente tutte le persone coinvolte fino a quel momento.

Al processo in corte d'Assise del Marzo '70, il Mele tento' ancora una volta di ritrattare ripetendo con fermezza le sue precedenti accuse a Francesco Vinci, ma consigliato dai suoi avvocati fece l'ennesima marcia indietro riaffermando la propria colpevolezza, e, sebbene ci fossero molti dubbi che potesse aver fatto tutto da solo ,venne alla fine condannato. come unico esecutore del duplice omicidio Alcune testimonianze in particolare avevano ancor piu' reinsaldato quei dubbi, soprattutto quelle di un tal Barranca che in occasione di un suo tentativo di approccio con la Locci si senti' dire che non fosse il caso poiche' qualcuno con un motorino la stava seguendo. L'uomo, tornato alla carica poco dopo, aveva raccolto dalla donna una dichiarazione ancora piu' esplicita: "lo sai che ci potrebbero anche sparare mentre siamo in macchina?" Per il Barranca quella frase fu piu' che sufficiente per farlo desistere definitivamente, anche perche' quello non era un ambiente dove si potesse scherzare con le donne degli altri. Lo stesso Francesco Vinci, che al dibattimento ammise indirettamente di aver pedinato la Locci dopo che questa l'aveva lasciato, racconto' di averla vista un giorno alle cascine di Signa in atteggiamenti particolari con un tizio sconosciuto (ce lo racconta l'avvocato Filasto' nel libro Storia delle Merende infami, citando un estratto del processo: Francesco Vinci dice: "Tengo a precdisare di non aver mai seguito Barbara Locci, ma di averla vista per caso una volta alle cascine in compagnia di un tale che stava compiendo su di lei degli "atti". Non so' esattamente chi fosse, io lo conoscevo come tal Francesco").
Sembravano tutti indizi che portassero ad una seconda persona interessata alla sorte della donna e che avrebbe potuto essere il vero complice del Mele, ma rimasero sempre e soltanto indizi che non compromisero il rapido escursus della condanna al Mele.
In secondo grado l'impianto accusatorio fu confermato con l'aggiunta del riconoscimento della semi infermita' mentale, di cui pero' i giudici sembrarono non tenere conto al momento della definizione della pena. Venne anche respinta la richiesta della difesa di riaprire le indagini in seguito al recupero della testimonianza di tal Claudio Conticelli, che aveva gia' riferito "di aver visto più volte Francesco Vinci allenarsi al tiro con la pistola in aperta campagna." Quando il processo arrivo' in cassazione, la corte rinvio' l'appello per cio' che concerneva la sola determinazione degli anni da scontare e per qualche oscuro motivo procedurale il rinvio si tenne a Perugia. Nel 1973 il tribunale di Perugia confermo' la condanna per omicidio stabilendo una pena di 14 anni da espiare nel carcere di Firenze.

Parte prima --------------------------------------------------- Parte terza

mercoledì 18 marzo 2009

Parte prima




- Un fantasma nei campi 1981-82 -



Alle 9 di mattina del 7 Giugno 1981, il poliziotto fuori servizio Vittorio Sifone scoprì i cadaveri di due giovani in una stradina di campagna che dava su via dell'Arrigo, in località Mosciano di Scandicci. I due giovani vennero identificati come Carmela de Nuccio, 21 anni, pellettiera alla AGI di Scandicci, e Giovanni Foggi, 30 anni, dipendente dell'Enel. La sera prima, intorno alle ore 22:00 , erano usciti dalla casa della ragazza in Ponte a Greve e da quel momento se ne erano perse le tracce.
Le caratteristiche dell'omicidio, soprattutto la mutilazione del pube praticata sul cadavere della ragazza, davano pochi dubbi sulla matrice maniacale del delitto. Nonostante questo, furono fatti gli accertamenti di rito sul giovane ex fidanzato di Carmela, che però per quella sera aveva un alibi e che del resto apparve subito agli occhi degli investigatori come incapace a compiere un tale gesto. Non passò neppure un giorno perché fosse fatto il collegamento con un altro duplice omicidio irrisolto, verificatosi ben 6 anni prima nel Mugello. Il giornalista Antonello Villoresi affrontò le numerose analogie tra i due casi in un articolo pubblicato da La Nazione già l'otto Giugn. Il precedente riguardava gli omicidi di Pasquale Gentilcore, 19 anni, barista nello spaccio interno della fondiaria SAI di Firenze, e Stefania Pettini ,18 anni, neo assunta segretaria d'azienda alla Magif di Firenze, avvenuti il 14 settembre 1974 in localita' Rabatta di Borgo san Lorenzo. Alle 21:30 di quel sabato del 74, i due fidanzati erano partiti dalla casa della ragazza a Pesciola di Vicchio  con il proposito di raggiungere la discoteca TeenClub di Borgo dove avrebbero dovuto trascorrere la serata in compagnia di alcuni amici. Evidentemente lungo il tragitto avevano deciso di appartarsi in un campo poco distante dal fiume Sieve, un campo normalmente frequentato dagli innamorati della zona e sicuramente gia usato dai due ragazzi come si sarebbe appurato dalle note del diario di Stefania. Proprio lì, forse intorno alle 23:45, qualcuno era  spuntato da dietro un vitigno aprendo il fuoco contro la coppia intenta nei preliminari. Pasquale morì per i colpi d'arma da fuoco, mentre Stefania, solo ferita alle ginocchia da due proiettili, fu accoltellata a morte con numerosi colpi d'arma bianca.
L'assassino, però, aveva fatto di piu': aveva insistito con il coltello sul cadavere nudo della giovane altre decine di volte, sottolineando con incisioni superficiali il seno ed il pube del cadavere. In ultimo aveva preso un tralcio di vite e ne aveva violato il sesso, era tornato nella macchina per sferrare 2 coltellate al corpo di Pasquale oramai morto, ed era scomparso nella notte.

Alle 7:40 del mattino successivo, Pietro Landi, un contadino della zona, rinvenne i cadaveri e  diede l'allarme. I Crabinieri, all'atto del sopralluogo, interpellarono il locale medico condotto che normalmente veniva usato come supporto medico legale. Nessuno, purtroppo, si accorse delle ferite d'arma da fuoco che, quantomeno sul corpo della vittima femminile, erano disperse tra le numerosissime ferite da punta e taglio, di conseguenza nessuno al momento repertò neppure i bossoli che rimasero a tarre sul posto fino al giorno successivo.. Solo infatti dopo l' intervento dell'anatomo patologo Fiorentino, il prof Mauro Maurri, si determinò la presenza di ferite da arma da fuoco, e solo la sera successiva i Carabinieri repertarono sul luogo del delitto 5 bossoli di piccolo calibro .

Le indagini si concentrarono inizialmente sui guardoni della zona e sulle persone che erano state segnalate precedentemente per comportamenti anomali. In particolare, dopo un paio di segnalazioni più o meno anonime, si punto' l'attenzione  su un perito meccanico di Borgo che qualche tempo prima aveva minacciato  una coppia appartata in auto nella campagna circostante. Quella pista si esaurì a soli tre giorni dal fermo dell'uomo, a cui in effetti era stato trovato un fucile non denunciato e una roncola sporca di sangue (risultato poi di coniglio), ma che si appurò non avesse nulla a che fare con gli omicidi. Ancor più breve fu l'entrata in scena di un giovane di 28 anni che si autoaccuso' del fatto e che sin da subito rsultò invece solo uno psicolabile con tendenza alla mitoania.

Il capitano Olinto dell'Amico cercò quindi di ricostruire più minuziosamente le abitudini e le conoscenze delle vittime, imbattendosi' cosi' in un supposto guaritore cartomante di Scarperia (in realta' un ristoratore) che gia' si era spontanemente presentato per testimoniare la presenza di strani personaggi che gravitavano di sera nella zona dove era avvenuto il delitto. Secondo alcune fonti (citate in modo generico e indiretto dal difensore di Pacciani nel processo del '94) pare che i ragazzi , in particolare Pasquale, avessero ottenuto da costui rimedi a base di erbe per i malanni di stagione, e che l'ultimo incontro fosse avvenuto a non molto tempo di distanza dall'omicidio Anche questa pista si rivelò rapidamente inconsistente. Passarono le settimane e ben presto fu chiaro che quel delitto sarebbe rimasto senza un colpevole, mentre un previdente criminologo dichiarò che il killer si sarebbe fatto vivo ancora, magari dopo 4-5 anni, ma certamente avrebbe ucciso di nuovo (Dichiarazione pubblicata su La Nazione del 1974 senza però il riferimenti al nome del  criminologo).

Di anni ne passarono come abbiamo visto 7 e il criminologo aveva sostanzialmente azzeccato la previsione. Ora, a capo delle indagini, c'erano i procuratori Adolfo Izzo e Silvia della Monica, con ancora il supporto investigativo del capitano Dell'Amico che aveva ben presente quella vecchia vicenda. Appurato dai periti Spampinato e Zuntini (quest'ultimo perito balistico anche per il caso del 1974) che l'arma usata in entrambi i casi era sempre la stessa, e rilevando che anche Pasquale Gentilcore, come Giovanni Foggi, abitava in Pontassieve, il capitano Dell'Amico orientò inizialmente le indagini proprio in quel luogo per determinare possibili collegamenti tra i due ragazzi. Inoltre, quasi ricalcando la vecchia inchiesta, si cominciò a passare al setaccio il mondo dei guardoni. Partendo da una telefonata anonima che aveva indicato la presenza di un auto sospetta aggirarsi su via dell'Arrigo quella notte, si arrivò così ad una svolta.

L' l'anonimo telefonista aveva provveduto a fornire la targa quasi completa della Ford Taunus sospetta, che risultava intestata a tal E S.

Portato in questura già il 12 Giugno, E.S negò inizialmente di essere stato in quel luogo. Poi, dopo aver ammessa la sua presenza in zona quella sera, disse però di essere rimasto assieme ad  un amico fino poco dopo la mezzanotte, quando era infine ripartito per tornare a casa in quel di Montelupo.  La polizia interrogò immediatamente il testimone, ma questo, pur confermando l'incontro, disse di aver lasciato ES intorno alle 23.20 e non dopo la mezzanotte. la moglie di ES, interrogata sull'orario a cui era rientrato il marito, disse di non poterlo precisare perchè ciò era avvenuto dopo che si era ritirata a dormire . Per difenderlo però ne aveva elencato con veemenza le numerose doti e in particolare la sensibilita' d'animo. A riprova c'era il modo con cui la mattina del 7, verso le 12 o poco dopo, le aveva raccontato della tragedia, specificando che due ragazzi erano stati uccisi vicino a Roveta. Queste dichiarazioni, apparentemente innocue, suonarono alle orecchie dei magistrati come il tonfo di una cannonata. Nell'alibi di ES c'era dunque un buco di almeno un ora. e poi come poteva ES riferire del fatto alla moglie gia' la mattina del 7 quando forse i corpi non erano stati ancora rinvenuti?
Interrogarono nuovamente l'autista di ambulanze per avere spiegazioni, ma questo, sebbene si mostrasse lucido e distaccato, cominciò ad inanellare una serie di contraddizioni al termine delle quali si ritrovò con un ordine di custodia cautelare per reticenza e falsa testimonianza. Egli, infatti, inizialmente disse di aver saputo dell'omicidio solo il Lunedi' mattina dai giornali, ma questo contrastava nettamente con le dichiarazioni della consorte. Poi cercò di sostenere che poteva benissimo averlo sentito dire al bar la mattina stessa di Domenica, quando vi si era recato tra le 11 e le 12 Fattogli presente che nessuno aveva confermato che al bar si fosse parlato del delitto  quella mattina, ES non potè  fare altro che rassegnarsi all'inevitabile arresto.

Per qualche tempo gli inquirenti continuarono a pensare che ES fosse solo un teste spaventato e che la galera lo avrebbe prima o poi convinto a parlare. Passate però alcune settimane, vedendo che l'uomo non cedeva, cominciarono a sospettare che fosse proprio lui il colpevole, e per qualche mese ancora la città sembrò tirare un sospiro di sollievo, poiché, forse, il Mostro di Firenze era finalmente dietro le sbarre.
In realtà fino a quel momento, almeno sui giornali, ancora non esisteva quell'acronimo. Qualcuno  lo aveva definito il "chirurgo della morte", qualcun'altro il mostro di Scandicci, ma si dovrà aspettare ancora un po' perché il giornalista Mario Spezi conii il nome "Mostro di Firenze", facendolo apparire per la prima volta su un articolo de La Nazione.
In realtà si dovra' aspettare solo qualche mese, o, più precisamente, fino al 23 ottobre del 1981.

La mattina del 23 Ottobre 1981, due pensionati che si stavano recando in un orto prospicente una stradina sterrata, sita su via dei prati a Nord di Calenzano, si imbatterono nei cadaveri di due ragazzi. I corpi erano a qualche metro dal fronte di una golf nera parcheggiata a lato di un basso canneto. L'auto era di un ragazzo che abitava poco lontano su via Mugellese, Stefano Baldi, 26 anni e un recente passato di studi in medicina abbandonati a causa della morte del padre , per la qual cosa si era dovuto  rimboccare le maniche e mettersi a fare l'operaio al lanificio Stura di Vaiano. Suo era anche il corpo crivellato di colpi accanto all'auto. Quella invece che giaceva poco piu' in la, sul lato opposto della sterrata, era Susanna Cambi, la sua fidanzata da una vita, 24 anni, e da poche settimane assunta come centralinista alla TV 39 di Prato.

La pioggia aveva dilavato forse qualche traccia, ma la mano del maniaco era talmente evidente che sin da subito nessuno ebbe dubbi: Il mostro di Firenze e' ancora libero... anzi, è nato il Mostro di Firenze.
La scientifica fortografò una scena che aveva il sapore del deja vu. I bossoli calibro 22 con l'H stampata sul fondello, il corpo straziato orrendamente della giovane, le ferite di coltello date dopo la morte e, cosa strana, la borsetta della ragazza aperta sul sedile posteriore, senza che da questa sembrasse però mancare nulla, ma all'interno della quale furono ritrovati i documenti dell'auto del compagno. La cosa era strana davvero perché a Giugno la borsetta della povera De Nuccio era stata certamente frugata, e, a ben vedere, anche quella della Pettini nel 1974, che addirittura era stata trovata a piu' di 300 metri dalla scena del delitto. Allora si era pensato ad un grottesco tentativo di simulare la rapina, ma nei due casi dell'81 le borsette rovistate erano rimaste sul luogo,  e quel gesto , pensarono gli investigatori, poteva avere un significato particolare per l'assassino.

Realisticamente ci si concentrò su altri elementi più tangibili, soprattutto due impronte di stivale  taglia 44 ed un fermaporta in granito, mezzo dipinto di rosso, che i carabinieri pensarono inizialmente fosse stato usato per infrangere il vetro. Il ragazzo aveva poi sotto un unghia, spezzata di recente, alcune fibre ed un capello, forse strappati all'assassino, forse appartenuti alla fidanzata (per i medici legali sarebbe stata questa seconda ipotesi quella giusta). La ragazza, invece, in una mano stringeva un ciuffo di capelli neri che furono fatti risalire ad un estremo tentativo di abbracciare il fidanzato durante la sparatoria. Il medico legale, professor Maurri, stabilì che al momento dell'aggressione le vittime stessero l'uno sull'altra in fase di preliminari e che quindi il killer, per estrarre il corpo di Susanna, avesse dovuto prima tirare fuori quello del compagno. Non ci si soffermò però ne sul perché fosse stato trasportato per diversi metri anziche' scaricarlo subito di lato, ne su come mai il ragazzo avesse un solo stivale calzato al piede sinistro durante le effusioni. Alla fine dei conti difficilmete si pensava che da quei particolari potesse saltare fuori il nome dell'assassino, meglio quindi impiegare il tempo a cercare testimoni e rileggere rapporti. Si, perché di tempo probabilmente ce n'era ancora poco prima che la beretta calibro 22 tornasse a sparare... Qualche mese al massimo.

Il 24 Ottobre ES lasciò il carcere di Sollicciano, ma senza che nessuno gli facesse tante scuse perché ancora, secondo gli investigatori, costui serbava per se la soluzione del caso. E che in procura tutti fossero convinti che l'autista di autoambulanze sappesse, lo dimostrarono nel tempo le continue attenzione che l'uomo ricevette dai carabinieri al compimento di ogni nuovo delitto. Tanto fecero, che si arrivò addirittura ad un interrogazione parlamentare da parte di un deputato di DP, nella quale si chiedeva conto al ministro dell'interno su questo continuo insistere su un cittadino che certamente era innocente perché scagionato dall'alibi del crcere. Ma come si poteva de resto dar torto agli inquirenti per i quali, date le ambiguità di quelle dichiarazioni iniziali, c'era la convinzione che con le parole di ES si sarebbero potuti salvare altri ragazzi? Eppure la determinazione che  mostro' nel sostenere nel tempo di non aver visto assolutamente nulla oggi dovrebbe farci ritenere che fosse proprio così e che il

L'uscita di scena di ES gettò nuovamente le indagini in alto mare e l'opinione pubblica nel panico. Cominciarono a circolare voci incontrollate sull'identita' del colpevole. Voci che puntavano ora su quel medico, meglio se ginecologo, ora su quell'altro. Del resto, non si era parlato sui giornali del "chirurgo della morte"?  E quindi, chi meglio di un ginecologo poteva vestire i panni del maniaco in questione? Questo andazzo convinse i magistrati a desistere dal pubblicare l' identikit di un sospetto, che era stato allestito in base ad una testimonianza fatta nell'immediatezza del delitto. Due giovani, verso la mezzanotte del 22 ottobre, avevano notato una alfa GT rossa correre su via dei prati in direzione di Calenzano. L'auto, per attraversare velocemente il ponticello del molino, quasi li travolse, e alla guida videro bene un uomo sui 45 anni, calvo, con le sopraciglia folte e il viso stravolto. Se quell'identikit fosse stato pubblicato sui giornali la fantasia popolare si sarebbe scatenata, e nel giro di qualche giorno ci si sarebbe ritrovati con centinaia di false segnalazioni da vagliare. Meglio quindi tenerlo ad uso e consumo del solo personale di polizia.

L'inverno passo' senza che accadesse nulla, ma il 19 giugno dell'82 l'orrore torno' a sconvolgere le campagne fiorentine. Poco prima della mezzanotte, due ragazzi su di una 128 bordeaux, si fermarono accanto ad una 127 bianca che sembrava essere uscita fuori strada su via del Virgino Nuova, all'altezza di Baccaiano. L'auto era infilata con le ruote posteriori nel fossato laterale ed aveva i fari spenti, ma non era un incidente. Ai due bastò vedere il foro di proiettile sul parabrezza per capire al volo di che cosa si trattasse. Impauriti si accostarono ai finestrini e dentro scorsero i corpi di due giovani riversi sui sedili. Guardando meglio si accorsero che l'uomo ancora respirava, e cosi' abbandonarono la scena per andare a chiamare i soccorsi in paese. Qualche minuto dopo l'ambulanza era gia' sul posto, mentre i soccorritori, forzati gli sportelli che risultarono bloccati, estrassero dall'auto il ragazzo ancora vivo sebbene probabilmente già in coma profondo. La ragazza, invece, rimase al suo posto poiché era chiaro che per lei non ci fosse più nulla da fare.

I Carabinieri, arrivati poco dopo che l'ambulanza era ripartita, trovarono una piccola folla di giovani che pian piano si erano fermati mentre percorrevano la strada. Identificarono i testimoni e fecero i rilievi del caso, ma vista l'immediatezza del ritrovamento si preoccuparono anche di allestire posti di blocco volanti sui possibili tratti stradali che comunicavano con quel luogo.

Le vittime erano due ventenni di Montespertoli: Paolo Mainardi, 21 anni, meccanico di San Pancrazio, ed Antonella Migliorini, 19 anni, cucitrice per la locale ditta di confezioni ANNA. I due erano usciti di casa intorno alle 22:30, e attraversato il centro del paese si erano immessi su quella strada in cerca di un luogo appartato. Avevano scelto una piazzola che dava direttamente sulla provinciale, tanto che la coda dell'auto distava a non più di un metro o due dal margine asfaltato. Quel posto a loro, che del mostro avevano paura, dovette sembrare sicuro tanto era esposto al traffico di auto. Purtroppo si sbagliarono.

Sulla scorta delle dichiarazioni dei primi 4 giovani che erano arrivati nell'immediatezza del fatto, quelli che poi avevano dato l'allarme, i Carabinieri effettuarono una possibile ricostruzione dell'accaduto.
Mentre Antonella stava seduta sul divanetto posteriore, e Paolo ancora si attardava sul sedile di guida, l'assassino aveva iniziato ad aprire il fuoco attraverso il finestrino anteriore sinistro. Il primo colpo doveva aver centrato il ragazzo alla spalla sinistra e il secondo la ragazza alla testa, ma a questo punto Paolo era riuscito evidentemente a rimettere in moto l'auto, accendere i fari, innestare la retromarcia, e fuggire verso la strada. L'assasssino aveva continutao a sparare mentre il ragazzo era riuscito a guadagnare il centro della carreggiata. Poi, forse a causa del freno a mano rimasto tirato, aveva perso il controllo dell'auto che sia era infilata nel fosso incagliandosi con le ruote posteriori. Il killer a questo punto, mostrando un sangue freddo eccezionale, aveva raggiunto la strada e sparato due colpi ai fari per riacquistare il vantaggio del buio. Aveva tirato un colpo al parabrezza centrando forse la testa dell'uomo, e rapidamente si era portato verso il finestrino di guida attraverso il quale aveva infilato l'arma sparando un altra volta. Infine aveva estratto le chiavi dal quadro, forse per spegnere le luci posteriori, e le aveva gattate in mezzo all'erba sullo stesso lato della 127.

Questa ricostruzione si basava sulla dichiarazione dei testimoni che avevano visto il il Mainardi accasciato sul sedile del posto di guida. Quando pero' vennero interpellati gli infermieri, che avevano materialmente estratto il ragazzo dal sedile, questi dissero tutt'altra cosa. Affermarono di aver trovato anche Paolo sul divanetto posteriore. L'incongruenza rimase irrisolta, con i Carabinieri che mantennero la ricostruzione originale ignorando le testimonianze dell'equipaggio dell'ambulanza.

In compenso, il PM della Monica ebbe un idea intelligente, convinse la stampa a inserire in qualche articolo il dubbio che il Mainardi, ancora vivo, avesse potuto dichiarare qualcosa durante il trasporto in ospedale, e cosi' fu' fatto (Su la Nazione del 22 giugno compare effettivamente questa ipotesi, anche se il giorno prima si era esplicitamente detto che il ragazzo era spirato senza poter dire nulla).

Non passarono tre giorni che all'autista dell'ambulanza, il cui nome e cognome era apparso sui quotidiani, arrivasse una misteriosa ed inquietante telefonata. Chi chiamò, spacciandosi prima per un magistrato, cerco' di avere dall'Allegranti dettagli su cosa avesse detto la vittima in limine vitae. Al rifiuto dello stesso di parlare della cosa per telefono, l'uomo comincio' a minacciarlo questa volta però qualificandosi come l'assassino.

L'episodio non poté mai essere verificato, poiché nessuno si era preoccupato di mettere il telefono dei soccorritori sotto controllo, limitandosi forse solo a quelli dell'ospedale di Empoli, e all'epoca non esisteva ancora lo strumento dei tabulati telefonici. Rimase quindi solo la sensazione che forse l'assassino da quella trappola era stato irritato, sempre che a fare quella telefonata non fosse stato qualcun'altro.

Ora  il panico dell'opinione pubblica sembrò contagiare anche gli investogatori, che dopo un anno si ritrovavano con zero indizi, 6 cadaveri sulle spalle e il sospettato in cima alla lista, un medico, scagionato da un alibi per questo ultimo delitto. Dovette essere questa pressione psicologica che il 30 Giugno li indusse a pubblicare l'identikit realizzato ad ottobre 81, perché fu subito chiaro che tale mossa aveva solo complicato le indagini anziché aiutarle. Del resto, l'omicidio di Baccaiano, nonostante la perdita di controllo momentanea da parte del killer, non aveva portato altri indizi concreti. All'ora del delitto, sulla strada, erano state notate almeno una mezza dozzina di auto, sia ferme che in transito, ma incredibilmente nessuna di queste porto' ad alcunché di rilevante. Tra le testimonianze c'era anche quella del signor Calonaci, che a Cerbaia, una mezz' ora prima dell'omicidio, aveva notato un uomo solo dentro una macchina in fare sospetto. Disse il Calonaci che sembrava cercasse qualcosa o qualcuno in mezzo alla folla in festa, tentando pero' di rimanere nella parte non illuminata della strada, e che quando si rese conto di essere in piena luce, si ritrasse velocemente quasi "fosse stato sorpreso a rubare in chiesa". Neanche quella traccia portò a nulla, ma il caos duro' poco, perche' circa tre settimane piu' tardi si verifico' un colpo di scena straordinaro.

Nella versione ufficiale dell'episodio si legge che, ai primi di luglio del 1982, un maresciallo dei Carabinieri, tal Francesco Fiore, si ricordo' improvvisamente di un delitto analogo avvenuto questa volta addirittura nel 1968 a Signa. Stranamente dopo il collegamento col 74 nessuno si era preso la briga di vedere se esistessero altri casi simili, ma forse quello del 68 non fu preso in considerazione poiche' di quel delitto era stato trovato il colpevole, addirittura condannato e fino al 1980 ancora in carcere. Nonostante ciò, i magistrati recuperarono dal tribunale di Perugia le carte del processo del 68, e con loro grande sorpresa tra queste rinvennero i bossoli ed i proiettili usati contro la coppia di Signa 14 anni prima. I 5 bossoli cal.22 LR avrebbero in realtà dovuto essere distrutti da tempo, da cioè la sentenza di condanna era diventata definitiva nel 1974. Invece, vuoi per una dimenticanza, vuoi come dice qualcuno perche' e' pratica normale non distruggere i bossoli se non c'e' anche l'arma, vuoi perché dopotutto venne ipotizzato anche alloraun concorso con ignoti, quei reperti erano lì, pronti per essere comparati con quelli del Mostro di Firenze.
Quando l'esito della perizia del Colonnello Spampinato e del dottor Castiglione confermo' che l'arma era sempre stata la stessa dal 68 fino all'82, il clamore fu a di poco notevole.

Da una parte gli inquirenti pensarono di essere finalmente vicini alla soluzione del caso, dall'altra si preoccupavano delle conseguenze sul giudizio che allora aveva evidentemente portato alla condanna di un innocente.

Di questo episodio esiste pero' anche una versione differente, almeno differente per quanto riguarda le modalita' con cui fu fatto il collegamento con il 68. Secondo il giornalita Mario Spezi, che gia' pubblico' la cosa negli anni 80 (in realta' la cosa fu anticipata addirittra da un articolo de La Citta del 9\11\82 ), a mettere i magistrati sulla pista del delitto di Signa non fu la memoria del maresciallo Fiore, o almeno non solo, ma una missiva anonima che conteneva un articolo di giornale del 23 Agosto 1968 in cui si parlava dell'omicidio.
Al giornalista questa notizia sarebbe stata riferita niente meno che dal magistrato Tricomi, all'epoca titolare dell'inchiesta insieme alla della Monica, e a sostegno di tale versione il magistrato avrebbe fornito allo Spezi anche una dichiarazione scritta (nella quale, pero', il Magistrato mensiona solo il ricordo di un artiolodi giornale portato a lui da Fiori probabilmente per illustrare il vecchio caso, ma assolutamente non l'origine anonima del sudetto articolo). Sta di fatto che oggi di questo articolo e' scomparsa ogni traccia, anche se a distanza di anni il procuratore Vigna, interpellato sulla cosa dal giornalista, si limito' a dire che il biglietto non c'era tra le carte ma non dichiaro' direttamente che tale biglietto non fosse mai esistito (Mario Spezi, Dolci colline di sangue, 2006).


Che quel suggerimento sia arrivato o meno oggi non lo sappiamo , anzi,  ma in quel caso sicuramente l'estensore della missiva avrebbe dovuto essere ben informato ed interessato a quel fatto. A dimostrarlo dovrebbe essere il riferimento al tribunale di Perugia, dove il caso era arrivato solo due anni dopo l'ìomicidio a causa di un rinvio parziale dell'appello da parte della cassazione. Un particolare che forse neppure aveva avuto lo spazio di un trafiletto in cronaca quando ormai il clamore dell'omicidio si era totalmente assopito.

Ma cosa era successo nel 68? E se l'uomo condannato allora non poteva essere il mostro come aveva fatto quell'arma a tornare a sparare 15 anni dopo?

Parte seconda


mercoledì 11 marzo 2009

Strumenti













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Tavola delle fasi lunari





21 Ago 68 ----------14 Set 74---------- 6 Giu 81---------- 22 Ott 81


19 Giu 82---------- 9 Set 83---------- 29 Lug 84---------- 8 Set 85


-----------------------------------1985----------------------------------

FIRENZE-PERETOLA ( 43.8N - 11.2E )
Domenica, 8 Settembre 1985*

IL SOLE
sorge 05:45 tramonta 18:41
Durata del giorno 12:56

LA LUNA
sorge 23:14    (azimuth 50.4° )
tramonta 15:52  ( azimuth 309.1° )

Fuso orario: GMT+1


------------------------------------1984---------------------------------


FIRENZE-PERETOLA ( 43.8N - 11.2E )
Domenica, 29 Luglio 1984

IL SOLE
sorge 06:00  tramonta 20:43
Durata del giorno 14:43

LA LUNA
sorge 05:44 ( azimuth 61° )
tramonta 20:53 ( azimuth 294.9° )

Fuso orario: GMT+1


------------------------------------1983-----------------------------------


FIRENZE-PERETOLA ( 43.8N - 11.2E )
Venerdi, 9 Settembre 1983

IL SOLE
sorge 05:46 tramonta 18:39
Durata del giorno 12:53

LA LUNA
sorge 08:22 ( azimuth 93.4° )
tramonta 20:15 ( azimuth 262.5° )

Fuso orario: GMT+1

-----------------------------------1982------------------------------------

FIRENZE-PERETOLA ( 43.8N - 11.2E )
Sabato, 19 Giugno 1982

IL SOLE
sorge 04:33 tramonta 20:00
Durata del giorno 15:27

LA LUNA
sorge 02:58 ( azimuth 69.6° )
tramonta 17:38 ( azimuth 294.2° )

Fuso orario: GMT+1


---------------------------------1981 2-----------------------------------


FIRENZE-PERETOLA ( 43.8N - 11.2E )
Giovedi, 22 Ottobre 1981

IL SOLE
sorge 06:36 tramonta 17:23
Durata del giorno 10:47

LA LUNA
sorge 00:45 ( azimuth 67° )
tramonta 15:16 ( azimuth 290° )

Fuso orario: GMT+1

---------------------------------1981--------------------------------------

FIRENZE-PERETOLA ( 43.8N - 11.2E )
Sabato, 6 Giugno 1981

IL SOLE
sorge 04:34 tramonta 19:53
Durata del giorno 15:19

LA LUNA
sorge 08:41 ( azimuth 63.6° )
tramonta 23:37 ( azimuth 294° )

Fuso orario: GMT+1

*: gli orari vanno corretti all'ora legale 

Tipologia delle Armi


Le perizie balistiche nel tempo identificheranno i seguenti modelli di Beretta cal.22 tutti come compatibili con quella usata dall'assassino









Modello Calibro Lunghezza canna (mm) Nr. colpi nel caricatore Tacca di mira Mirino Peso (g)
73 .22 Long Rifle 150 10 Fissa sulla canna Fisso sulla canna 560 (fusto lega)
74 .22 Long Rifle 150 10 Regolabile sulla canna Fisso sulla canna 560 (fusto lega)



Munizioni Winchester cal.22 LR a piombo nudo e ramate



La caratteristica battuta del percussore lasciata dalla pistola dei delitti



macrofotografia dello stampo del percussore


Articolo della Nazione 1985 che specifica come fu stabilita la datazione delle munizioni




Analisi peritale sulla determinazione dei lotti di fabbricazione delle cartucce
reperibile QUI





Caratteristiche balistiche del cal. 22LR
Dal sito di earmi.it



Perizie balistiche del Processo Pacciani reperibili
Qui


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Mappa delle vie di comunicazione




Visualizzazione ingrandita della mappa

Collegamenti su diverse ipotesi sulla residenza dell'assassino

Vicchio


Signa




Montespertoli


San Casciano



Una mappa di probabilita' sulla localizzazione della residenza dell'assassino calcolata da Mariano Tomatis mediante i principi dell'equazione di Rossmo

http://www.marianotomatis.it
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Vie di comunicazione 1980





Casistica e profilazione

La busta inviata nel 1985 al sostituto procuratore Silvia della Monica

L'indirizzo sulla busta venne composto con alcune lettere ritagliate da piu settimanali popolari nazionali. L'indirizzo reca numerosi errori che fanno ritenere di avere a che fare con una persona con una bassa scolarizzazione, che cerca di interpretare la forma corretta di composizione di un documento ufficiale senza peraltro riuscirci. L'abbreviazione Dott. viene usata al posto della piu' corretta Dot.ssa, il cognome viene inserito prima del nome, la parola "REPUBLICA" viene composta con una sola B , ma lo scrivente si preoccupa di inserire il trattino dell'andata a capo.



Affrancatura castello di Bosa 450 Lire. Contrariamente a quanto sostenuto da taluni autori, quali ad esempio l'Alessandri, e come fatto notare da Henry62, autore del blog mostro-di-firenze.blogspot.com, l'affrancatura era corretta per il valore vigente all'epoca

"I caratteri a stampa ritagliati provengono non da un quotidiano ma da periodici di tipo corrente, la cui carta ha un grado di lucentezza inferiore rispetto a quelli piu' quotati.
La busta e' di quelle in uso corrente e di vasta distribuzione. Per la chiusura e l'applicazione del francobollo e' stata usata colla in aggiunta a quella originariamente esistente. Per la chiusura colla di tipo UHU, per il francobollo colla a base di destrina. Quest'ultima e' stata usata anche per apporre le lettere che compongono l'indirizzo. All'interno della busta fu rinvenuto un foglio di carta ripiegato i cui margini erano stati incollati con colla di tipo UHU, e un frammento di sacchetto trasparente di polietilene che conteneva il frammento di tessuto umano (Relazione del servizio Polizia Scientifica di Roma-Divisione analisi merceologiche- 5 novembre 1985)"

L'indagine merceologica stabili' che si trattava di un prodotto della cartiera ICCI di Tolmezzo, di vastissima reperibilita'. L'esame indico' anche che le tre buste con proiettile, identiche fra loro, inviate ai tre magistrati Vigna Canessa e Fleury, erano dello stesso tipo commerciale della busta inviata alla dottoressa Della Monica. Stessa industria cartaria ma differenti per la morfologia del marchio di fabbrica e le dimensioni, e appartenenti ad una linea di produzione dedicata alla distribuzione presso i magazzini Upim.
Sul retro di una delle lettere ritagliate per comporre il testo dell'indirizzo si troverebbero alcuni riferimenti che, almeno secondo un difensore di parte civile, dovrebbero rimandare ad una pubblicazione di tipo pornografico.

Tariffe postali periodi precedenti

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Decreto del Presidente della Repubblica
25 settembre 1982 n. 687
periodo: 1.2.1983 - 31.5.1984

Lettera 400 fino a gr 20
Lettera 700 fino a gr 20 se non normalizzata
Lettera 700 da gr 20 a gr 50
Lettera 900 da gr 50 a gr 100
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Decreto ministeriale 24 maggio 1984
(Gazzetta Ufficiale n. 145 del 28 maggio 1984)
periodo: 1.6.1984 - 12.11.1985

Lettera 450 fino a gr 20
Lettera 900 fino a gr 20 se non normalizzata
Lettera 900 da gr 20 a gr 50
Lettera 1.100 da gr 50 a gr 100 







Prepared by Special Agents (SA) John T. Dunn, Jr., John Galindo, Mary Ellen O'Toole, Fernando M. Rivera, Richard Robley and Charles Wagner in consultation w/ Special Agent (SSA) Ronald Walker and other members of the NCAVC.

Victimology
The limited victim background data available for the construction of this analysis did not indicate that any of the victims of this series of homicides could be considered to have been and particularly high risk for potential violent criminalization. Although all victims were apparently engaged in activities that might be considered risky, i.e. sexual activity at known "lover's lanes" or camp grounds during hours of darkness, the demographics of the surrounding area as well as the absence of information suggesting that these areas are considered high-crime areas, would suggest that these victims could be considered low-risk. As low-risk victims, it is not likely that they were particularly targeted for assault by the offender, but were simply victims of opportunity who were randomly available to him at the time and place he chose to engage in his assaults.

It is not probable that the offender knew or was personally acquainted w/ any of the victims. Rather, they were strangers to him and became victims simply b/c they were available to him when he chose the site for his attacks.

M.E. report
The autopsy reports for these eight incidents indicate that the assailant, in all but three cases, resorted to multiple attacks on his victims, using a firearm and at least one bladed weapon. The female victims of incidents #1 and #6 escaped post-mortem mutilation for varying reasons:

The presence of a child in the victims vehicle in incident #1 may have inhibited the assailant and the fact that the victims of one incident were able to flee the immediate assault site precluded the offender from following through w/ his typical mutilation. Incident #6 involves a homosexual couple, and will be addressed in later portions of this report.
It is significant to report that the assailant used multiple weapons in virtually all his attacks, and that his use of a knife, scalpel or other bladed instrument involved stabbing, slashing, as well as the cutting away of many of his female victim's breasts and vaginal/pubic areas. The significance of the nature, pattern and distribution of these injuries will be fully addressed in subsequent portions of this analysis.
As a result of the unavailability of other forensic reports (toxicology/serology), no further comment can be made regarding these areas. It is noted that none of the victims bear evidence of sexual penetration by the assailant.

Crime assessment
No attempt will be made to reconstruct a precise chronology or sequential scenario of this series of crimes. However, an analysis of these crimes from the perspective of significant offender behavior will be provided.

These eight assaults were, in the opinion of the analysts examining the submitted materials, perpetrated by the same offender, who acted alone. The attacks themselves are (?) classified as "lust murders." FBI research into crimes of violence indicates that lust murders typically involve the mutilation and/or displacement of the victim's breasts , genitals or rectum. Lust murders are distinguished from sadistic homicide in that lust murders involve the immediate incapacitation of the victim followed by post-mortem mutilation and the absence of typical sexual penetration. Instead of penis penetration, the lust murderer typically inserts foreign objects into victims vagina or rectum as well evidenced in incident #2 where a grapevine was inserted into the victim's vagina.

Site selection
It is likely that the offender is familiar w/ areas in which these crimes were committed. The offender is sufficiently familiar w/ these areas to know that they are routinely frequented by "dating" couples who may engage in various stages of sexual activity in the relative privacy these "lover's lanes" afforded them. Additionally, these areas are remote and generally rural in nature, and likely to be known only to individuals w/ an intimate knowledge of the Florence area. It is believed that the offender became more specifically familiar w/ the individual assault sites as a result of surveillance and pre-offense site selection. The remoteness of the areas allowed the offender to feel comfortable in knowing that he would not be detected during the time it took to complete his attacks.

FBI research has shown that offenders of this type tend to assault in areas where they feel comfortable and low-risk, such as near the offender's own place of work or residence.

Approach
Based upon review of the materials provided, the offender appeared to utilize the following techniques, once he had made his site selection. The offender stalked his victims at the scene in order to obtain a position of advantage and to observe and hear the victims. The offender is then likely to have surveilled his victims until such time that they were pre-occupied and engaged in some form of sexual activity. It was at that moment that the offender chose to strike, utilizing surprise, speed and an immediately incapacitating weapon. This particular style of approach is generally indicative of an assailant who has doubts about his own ability to control his victims, who feels sufficiently inadequate in interacting with "LIVE" victims, or who feels incapable of direct confrontation.

Assault
The offender utilizing a "blitz" approach, discharged his weapon multiple times at close range, focusing first on the male victim, thereby negating his most immediate threat. Once the male victims had been neutralized, the offender felt sufficiently safe to perpetrate his attack upon his female victims. The expenditure of numerous rounds indicates that this assailant wanted to ensure that both victims were dead before beginning his post-mortem mutilation of the female victims. The female victims are the obvious focus of the offender's attention, the males represented only an obstacle that had to be removed.

In homosexual case (#6) - offender failed to mutilate and believed to have been disgusted to learn both were males. "Possession" and ritual are very important to this offender. This would explain why the female victims were generally removed some distance from the vehicles containing their male companions. The need for possession, as well as the offender's ritualized display of anger with women in general is further demonstrated by the removal of the victim's breasts and genitals. Despite the absence of penis penetration/ejaculation by the offender, these are all sexually motivated offenses. Mutilation of his victim's sexual organs represents both the sexual inadequacy of the offender as well as his anger toward them.

Weapon
The .22 caliber weapon consistently used by the offender is a weapon of choice for him. During the 17 years spanning these attacks, it is quite likely that the offender would have had the opportunity to replace this weapon with another, perhaps a more powerful one. He has not, however, chosen to do so. Furthermore, in spite of having left ejected cartridge casings behind at all the crime scenes, the offender has retained his weapon throughout this series of assaults. This offender is quite comfortable handling and using this weapon, and may well have acquired such familiarity with weapons through legitimate means, such as hunting, target shooting or military training. The consistent use of the same weapon as well as the ritualized manner of approach/assaults strongly suggest that the weapon is part of a "kit" that this offender used exclusively for his attacks and for no other reason. This "kit" is likely to contain a firearm, a knife and other bladed weapon, ammunition, and possibly specific clothing or other implements that he uses only during these assaults. The offender's overall behavior at the scene, including his use of the same and specific implements of crime, suggest that the ritualism inherent in this series of attacks is so important to the offender that he must repeat his offenses in an identical manner in order to achieve satisfaction.

It is noted that a .22 caliber bullet (unspent) identical to those used in these assaults, was located in front of a local hospital. It is not likely that the offender left the bullet there in an effort to taunt police, but was dropped accidentally by the offender who may have had some legitimate reason to visit the hospital or vicinity, i.e. sought medical treatment or worked at the hospital or in the vicinity. It is also possible that he may have visited the hospital if he believed the victim's bodies to have been taken there after the discovery.

Souvenirs
Research into similar crimes has shown that lust murderers often remove items from their victims. These items may be articles of clothing, or more personal possessions such as a piece of jewelry, or lock of hair, etc. Frequently, lust murderers may remove part of the victims body, such as a finger, ear or more particularly, a nipple, breast or other sexual organs. These items are taken as a souvenir, and enable the offender to relive the event in his fantasies for a period of time. These items are often retained for a fairly extensive period of time, once they serve no more useful purpose, the offender is likely to discard them occasionally at the scene of the murder or at the victim's grave site. Occasionally, the lust murderer may consume the victim's body part in order to tally "possess" his victim.

The mailing of the genitalia from the female victim of the last assault is indicative that this offender attempted to "taunt" police, suggesting that the publicity and attention directed at this case was important to him, and also indicating an increased sense of confidence on his part.

Offender traits and characteristics
a) Contemporary research conducted by the NCAVC coupled w/ offender based statistics, strongly suggests that crimes of interpersonal violence usually occur intra-racially. Therefore based on available statistics and the absence of specific information to the contrary in these attacks, your offender is more likely to be a white male of Italian origin who is native to the area.

b) The offender is most likely to have been in his mid to late 20's when he began this series of assaults in 1968. This would currently place him in the mid 40's age range. "...if your offender has a lengthy criminal history w/ periods of institutionalization or incarceration, he could be several years older than this age range."

c) The assailant is very familiar w/ the specific crime scenes and with the Florence area in general. He is comfortable there, and is likely to have close ties to the area evidenced by his lengthy absences but subsequent return to the area on two occasions. Likely to be a native to the area, and may still have family members residing there.

d) The offender is best described as having average intelligence. Likely to have completed his secondary education or the equivalent within the Italian education system.

e) He is most likely to be employed in a semi-skilled capacity requiring use of his hands. He is not likely to have much contact with the public in his job due to his feelings of inadequacy. He may exhibit erratic work habits.

f) The offender is most likely to have lived alone during the years spanning these assaults in a lower middle class neighborhood. If not living by himself, he will have resided w/ some family member on whom he is at least in part financially dependent, such as his mother, aunt, grandmother or older sister. He is not likely to be married, since he is not able to sustain successful relationships w/ peer-age women.

g) The offender is sexually inadequate and immature person who has had little if any consensual sexual contact with a peer-age female. He is likely to suffer from a sexual dysfunction.

Research suggests the offender use of alcohol or drugs prior to the assaults serves to lower inhibitions and to build up his courage to proceed w/ the assaults.
The offender is likely to have a preference for pornography, particularly which depicts graphic male-dominant violence.
The offender is likely to have served in the military
Offenders of this nature rarely stop their assaults for long periods of time without specific reason.
It is noted that this assailant was not active in the Florence area between 1968 - 1974 and 1974 - 1981. Probable that offender resided elsewhere during those periods or was otherwise inhibited from acting. Legitimate absence could have resulted from a change of jobs, attending school, foreign travel/work, military service, or was incarcerated for totally unrelated offense during this period and institutionalized for treatment of a mental illness.
h) The offender's residence is consistent with his economic status, and is not likely to be far from the area where he committed these offenses. As stated previously , his most likely place of work or residence is apt to fall within the cluster center or in close proximity to his first attack.

Post-offense behavior
The assailant feels no remorse for his victims nor guilt. His primary emotion will have been the fear of possible discovery. Following each incident he is more likely to have been nervous or edgy and may have appeared pre-occupied to those around him.

Following each assault, the offender would have gone to a place of comfort and safety, most probably his own residence...cleaned himself and his clothing as well as his implements, and would have returned his weapons to their "hiding" place for storage until the next assault. Items of a personal nature that he removed from his victims are likely to have been placed in a safe, secure place accessible only to the assailant.

The grotesque nature of these crimes have had the effect of shocking and horrifying the community. Therefore the offender closely followed all media reports of the crimes and is very likely to have cut articles pertaining to the offenses our of newspaper and placed them in a "scrap book" or album. He may also have kept diaries or journals.

The offender may have returned, and still may return to the scene of previous offenses to relive in his fantasies, his prior experiences. Shortly after the discovery of bodies at various sites, the offender may well have visited the scene to assess the extent of the police investigation through indirect or informal contact with the police.

The offender is likely to assault until apprehended, incapacitated, or otherwise inhibited from acting.


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La mattina del 20 Giugno 1982, nella piazzola dove era stata aggredita inizialmente la coppia fu recuperata una confezione di Norzetam che apparentemente era stata gettata da poco tempo. Si sospetto' che a fare uso di quel medicinale fosse stato proprio l'assassino nel tentativo di recuperare il controllo emotivo data l'evoluzione non prevista dell'aggressione.

Il principio attivo del Norzetam e' il piracetam , 2-Oxo-1-pyrrolidineacetamide, appartenente alla classe dei nootropi pirrolidonici (racetam).



Pirrolidina


Nella fattispecie rappresenta un derivato ciclo lattamico dell'acido gamma ammino butirrico, neurotrasmettitore inibitorio del CNS. Il probabile meccanismo d'azione risiede proprio nel potenziamento della trasmissione colinergica, nonche' nella capacita' di migliorare il metabolismo neuronale e favorire la comunicazione tra gli esmisferi attraverso la via del corpo calloso.




Acido gamma Amino Butirrico (GABA)





2-Oxo-1-pyrrolidineacetamide(piracetam)



ATTENZIONE, le seguenti indicazioni non sostituiscono il foglio illustrativo contenente le istruzioni di assunzione e le informazioni sul farmaco


NORZETAM
IPFIINDUSTRIA FARMACEUT.Srl
PRINCIPIO ATTIVO:
Una bustina contiene: Piracetam 833,25 mg.
ECCIPIENTI:
Glicerolo, Sodio saccarinato, Metile p-idrossibenzoato, Propile p-idrossibenzoato,Aroma di pompelmo, Acido cloridrico, Acqua distillata.
CATEGORIA FARMACOTERAPEUTICA:
Neurotrofico.

CONTROINDICAZIONI:
Ipersensibilita` verso i componenti. Insufficienza renale severa. Il rischio dieffetti dannosi a carico del feto e/o del neonato a seguito di assunzione di Piracetam non e` escluso; pertanto l`uso di Piracetam in gravidanza e/o nell`allattamento e` da riservare a giudiziodel medico, ai casi di assoluta necessita`.

AVVERTENZE SPECIALI:
Poiche` il farmaco puo` comportare come effetti indesiderati agitazione psico-motoria e disturbi del sonno i pazienti devono essere informati che occorre cautela nell`uso di macchinari pericolosi comprese le automobili fin quando non sono certi che il trattamento conil farmaco non interferisca negativamente. Gli eccipienti del prodotto includono il glicerolo, dannoso ad alte dosi. Puo` causare disturbi gastrici e diarrea.

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La posologia e' oggi in Europa declinata alle indicazioni del medico che effettua la prescrizione (obbligatoria, forse non nel 1982), ma viene comunque suggerito l'uso base di 3 bustine al giorno.


L'effetto inizia tra i 30 e i 60 minuti dopo l'assunzione


Letteratura sul piracetam anni 72-82--sintesi--


Il piracetam appare in letteratura a partire dal 1972 con studi sugli effetti protettivi contro l'ipossia cerebrale. la senescenza. e l'eventuale uso in campo psichiatrico sia adulto che infantile.
Gia' dal 73 l'aspetto della senescenza comincia a diventare quello piu' studiato, sull'onda delle promesse che all'epoca la farmacologia faceva in ambito di contrasto dell'invecchiamento (vedi il caso gerovital alla fine degli anni 50)

Piracetam and senility]
Graux P, Gallet Y.
Lille Med. 1973 Apr;18(4):487-8. French. No abstract available.
PMID: 4753891 [PubMed - indexed for MEDLINE]

Compaiono studi sull'uso del piracetam anche come coadiuvante nei trattamenti post ictus e nel recupero di funzioni in soggetti con commozione cerebrale, nonche nei trattamenti per il recupero di amnesie post shock elettrico
Nel 1974 compare il primo studio sul recupero di funzioni corticali in soggetti alcolizzati. A partire dal 76 iniziano gli studi nel campo che oggi viene definito delle smart drugs, ovvero l'uso dei farmaci non a fine terapeutico ma di potenziamento di funzioni in soggetti sani

Usefulness of piracetam in intensive care.
Godard JP, Goerens C, Grelier C.
Acta Anaesthesiol Belg. 1976;27 suppl:115-22. No abstract available.
PMID: 1015210 [PubMed - indexed for MEDLINE]

Increase in the power of human memory in normal man through the use of drugs.
Dimond SJ, Brouwers EM.
Psychopharmacology (Berl). 1976 Sep 29;49(3):307-9.
PMID: 826948 [PubMed - indexed for MEDLINE]


Sempre nel 1976 si testa l'uso di questa sostanza nella terapia di supporto per il trattamento degli alcolisti, un area di ricerca battuta ancora negli anni successivi

[The efficacy of Piracetam on the mental functional capacity of chronic alcoholics (author's transl)]
[Article in German]
Binder S, Doddabela P.

nel 77 compare un lavoro italiano sull'uso del piracetam nella dislessia dei bambini, nel tempo questo uso verra' indagato da altri studi. Nel 78 cominciano ad apparire indicazioni nel trattamento della schizofrenia, e si comincia a vagliarne il potenziale ansiolitico non sedativo
Sempre nel 1978 i russi cominciano ad interessarsi a questa molecola e ai suoi effetti sull'attenzione in condizioni di stress, e nell 81 vengono pubblicat i primi risultati

[Tranquilizing effect of n-dipropylacetate and other GABA-ergic substances in conflict situations]
[Article in Russian]
Kharlamov AN, Raevskiĭ KS.

Ancora nell'81 si torna a puntare sulle proprieta' anti senescenza, e nel 1982 compare uno studio sulle propieta' antistress e defaticanti del piracetam comparate a aquelle del gingseng

Antistress and antifatigue properties of Panax ginseng: comparison with piracetam.
Banerjee U, Izquierdo JA.


Fonti:

SIGMA-Aldrich catalog

http://www.sigmaaldrich.com/catalog/ProductDetail.do?N4=33895|FLUKA&N5=SEARCH_CONCAT_PNO|BRAND_KEY&F=SPEC

PubMed

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/portal/utils/pageresolver.fcgi?log$=activity&recordid=1238425373088032


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Consulenza entomologica forense eseguita dal prof Introna sull'omicidio 8 settembre 1985 reperibile Qui


La caratteristica notevole del vetro
presa in considerazione nella seguente trattazione e' il diverso comportamento che esibisce rispetto alla forza di compressione e a quella tensionale. L'impatto di un oggetto sulla superficie di una lastra di vetro al tempo Dt-> 0 produce una compressione a cui il materiale risponde deformandosi secondo un basso coifficiente di elasticita', e generando una tensione sulla superfice opposta a quella di contatto che si traduce rapidamente in una frattura radiale.

La frattura radiale iniziera' pertanto sempre sulla superficie opposta a quella di contatto dove ha avuto inizio la compressione (grafico centrale in Fig)

Quando l'energia del sistema non puo' piu essere scaricata dall'estendersi della frattura radiale, sulla superficie opposta all'impatto comincia a formarsi una forza compressiva secondaria che genera una tensione analoga in senso inverso. La nuova tensione retrograda induce un secondo fenomeno di frattura concentrico che origina sulla superficie su cui e' avvenuto l'impatto iniziale

Le fratture concentriche inizieranno pertanto sempre sulla stessa superficie su cui e' iniziato l'impatto
(terzo grafico di Fig.)


Conoscendo la genesi della frattura (radiale o cencentrica) e' possibile recuperare l'informazione sull'origine del punto d'impatto osservando la sezione dei frammenti rimasti in loco.
In sezione sono infatti rilevabili una serie di markers denominati Hackle (pennacchi) piu' o meno paralleli tra loro che indicano la superficie d'impatto a seconda del loro orientamento (Fig.C, D)




Fig.C



Fig.D

Nel caso di impatti ad alta velocita', come per i proiettili d'arma da fuoco, entrano in gioco anche altri fenomeni determinati dalla propagazione nel mezzo di onde Hertziane ad alta energia, e con velocita' fino a 20 volte superiori a quella della formazione del tramite prodotta dal proiettile. Tali onde sferiche generano un cono d'uscita (Fig F) sulla superficie opposta all'impatto che puo' essere esemplificato come un vero e proprio cratere (Fig E).


Fig.E

Fig F



Fig.F2



Determinazione della sequenza di sparo

Piu' colpi portati contro la stessa lastra di vetro possono essere valutati secondo la loro sequenza temporale esaminando le fratture radiali nel punto ove quelle del primo si incontrano con quelle del secondo sparato. Come regola generale potremmo affermare che :

Le fratture radiali del secondo colpo termineranno sulle propaggini di quelle del primo








Vetro temperato

A differenza del vetro non trattato quello temperato presenta una maggiore resistenza alla tensione di frattura, ma al tempo stesso quando viene raggiunto il limite la rottura avviene in modo catastrofico. Lo sbiciolamento conseguente e' funzionale a criteri di sicurezza che lo rendono adatto per produrre i cristalli delle auto, in quanto dopo un urto non vengono prodotte pericolose schegge di grandi dimensioni, e le stesse mini schegge risultano ad angolo smussato, riducendo eventuali ferite agli occupanti del mezzo. Queste stesse caratteristiche pero' rendono difficile fare lo stesso tipo di analisi dettagliata precedentemente. In genere gia' al secondo colpo il vetro temperato si disintegra cancellando ogni riferimento del tramite, cratere d'uscita compreso, e inoltre le singole schegge non riportano gli Hackle di frattura, rendendo arduo determinare il lato d'impatto del proiettile.
Anche la sequenza dei colpi diventa di difficile ricostruzione, ma se il vetro non si rompe in genere il primo colpo risulta in un foro da cui dipartono brevi radiali seguite da un tipico mosaico di frattura con singoli elementi rettangolari. I successivi colpi non avranno elementi radiali







Vetro laminare

I vetri laminari sono costituiti da piu' lastre di vetro non trattato incollate l'una sull'altra mediante uno strato plastico che ne caratterizza il comportamento in caso di rottura. Tale tipo di cristallo e' utilizzato ad esempio per la costruzione dei parabrezza delle auto poiche' presenta notevole resistenza agli urti, e tende a non rilasciare schegge in quanto trattenute dall'elemento plastico interposto. Le caratteristiche realizzative del resto rendono difficile fare valutazioni sulla sequenza di sparo attraverso il test T (l'analisi della propagazione delle fratture radiali vista precedentemente), in quanto spesso su una delle sottili lamine vetrose ci sono fratture preesistenti che possono pesantemente falsare il risultato. E' invece sempre possibili fare valutazioni sul lato d'impatto mediante l'osservazione del cratere d'uscita, che e' spesso anche piu' facile da evidenziare poiche' la porzione di vetro nel punto d'impatto tende a preservarsi meglio.
Diverso il discorso della determinazione dell'angolo di tiro recuperato tramite l'estensione della retta ideale che va dal punto d'impatto del proiettile dopo l'attraversamento del vetro, ed il foro prodotto su questo durante l'attraversamento stesso. Nel vetro laminare il colpo puo' venire deviato anche di 15 gradi, e non c'e' modo di verificarne a priori il comportamento. Nel caso di colpi portati frontalmente da distanza ravvicinata si assiste spesso ad una deviazione verso il basso di 1-5 gradi, ma negli altri casi la situazione e' assai variabile.

Determinazione approssimativa dell'angolo di tiro

Come regola generale il proiettile produce nella lastra laminare un foro, tramite, tendenzialmente ellittico.
L'orientamento dell'asse dell'ellisse puo' fornire un indicazione di massima dell'angolo azimutale di tiro, ovvero il lato su cui era lo sparatore rispetto alla verticale del foro.

Un asse inclinato da ore 12 a ore 6 indica una posizione frontale rispetto al piano della lastra colpita

Un asse da ore 2 a ore 8 indica una colpo tirato da sinistra verso destra

Un asse inclinato da ore 4 a ore 10 indica un colpo tirato da destra verso sinistral



Analisi delle scene del crimine

Attenzione! le seguenti osservazioni non hanno valore di affermazioni, e pertanto rappresentano esclusivamente uno spunto di riflessione per un approfondimento
Dell'omicidio Mainardi-Migliorini sono recuperabili da pubblicazioni di vario genere le fotografie qui riportate. Sulla scorta della precedente trattazione il foro visibile sul parabrezza della 127 del Mainardi sembrerebbe esporre la craterizzqazzione d'uscita del proiettile sulla superficie esterna.
In realta' dall'immagine non e' realmente possibile stabilira se si tratti di craterizzazione primaria o di craterizzazione secondaria dovuta agli effetti dell'impatto del piombo del proiettile, ma l'apparenza sembra quella di un colpo sparato dall'interno verso l'esterno. In questo caso la conferma puo' venire solo dall'osservazione di entrambi i lati del tramite, e dal dislocamento delle schegge che vengono in genere eiettate verso l'esterno rispetto al lato d'impatto (dentro l'abitacolo o sul cofano a seconda del lato di sparo).







A confutazione dell'ipotesi precedentemente fatta, l'utente Mk108 ha eseguito una prova sperimentale su vetro non laminare che viene qui di seguito riportata:

Per gentile concessione di MK108

Possibili riferimenti di confronto sul reperto del parabrezza


Cratere secondario sul lato d'entrata del proiettile


Cratere primario sul lato d'uscita del proiettile


Conclusioni

COnsiderando attendibili gli elementi di confronto sopraindicati, in virtu' della prova sperimentale dovremmo concludere che nel caso in oggetto il colpo sia stato effettivamente sparato dall'esterno verso l'interno dell'abitacolo...


Alcuni autori sostengono che i finestrini delle auto delle vittime siano stati infranti precedentemente gli spari, qualcuno suppone addirittura che cio' sia avvenuto dopo. Allla base di queste ipotesi ci sarebbe la quasi costante distruzione massiva dei cristalli.
I cristalli in questione sono tutti verosimilmente in vetro temperato, e come abbiamo visto la disgregazione rapida e' una caratteristica di questo materiale. Il fenomeno e' inoltre accentuato quando il vetro sia solidale sui 4 lati con lo sportello, e quando questo sia a sua volta solidale con la scocca dell'auto, ovvero a sportello e finestrino chiusi. Questa dovrebbe proprio essere stata la situazione in cui e' iniziata la fase di sparo, e pertanto la disgregazione totale e' proprio quello che ci si deve aspettare in caso di colpi ripetuti di arma da fuoco.